In questi primi venti anni del XXI secolo abbiamo assistito a tragedie che non pensavamo possibili. È facile essere pessimisti. Ci sono però altrettante ragioni per sperare in un futuro migliore: siamo tutti radicalmente fragili, ma è dalla consapevolezza di questa comune vulnerabilità che si possono rifondare le basi della convivenza tra gli uomini.
La
recente emergenza planetaria ha messo tutti noi di fronte a una verità ovvia,
ma che evidentemente preferivamo ignorare: nonostante il progresso e i
risultati straordinari della scienza e della tecnologia, rimaniamo esseri
fragili. Anche nei paesi più ricchi può manifestarsi l’imprevisto assoluto di
una vulnerabilità che si carica di sofferenza. Riconoscere la nostra comune
fragilità appare una straordinaria opportunità per ricomprendere la nostra
comune umanità. È la grande lezione da apprendere: riconoscere la dignità della
vita vulnerabile e mortale che ci accomuna è la via attraverso la quale si
riapre il varco per ricostruire legami socialiautentici. Purtroppo, in una
società come la nostra, permeata dai valori e dai disvalori di un capitalismo
che incalza, dall’ossessione di una vita senza ostacoli e dal consumo di un
godimento senza limiti, l’esperienza della vulnerabilità appare come una
vergogna da nascondere. Ma se c’è amore per la fragilità non c’è vergogna nella
vulnerabilità; e non cresce l’insensibilità per coloro che non ce la fanno:
umanità di scarto, incapace di affermarsi. Siamo tutti fragili. Rimuovere la
comune fragilità, invece di condividerla con amore, significa preparare una
società di solitudini. È nell’alleanza dei fragili la via per un umanesimo universale.
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