da: https://www.tag43.it/ - di Camilla Curcio
Dai mercati di quartiere al web fino alle passerelle. La scalata del modestwear non si ferma e, grazie agli influencer, coinvolge anche Instagram e TikTok. Facendo il pieno di visualizzazioni e attirando l’attenzione dei brand.
Hijab e blazer di haute couture. Minigonne sovrapposte a pantaloni baggy. Kufis abbinati a pullover e giacche di jeans. La ‘moda modesta’, che celebra il compromesso tra gli abiti della cultura musulmana (il bacino di utenza più grosso, anche se diverse sono le clienti ultra-ortodosse e cristiane) e le proposte del fashion system occidentale, spicca il volo. E, partita dai mercati e dalle botteghe di quartiere per approdare sui siti di e-commerce e sulle passerelle, è riuscita a monopolizzare TikTok e Instagram.
La moda modesta sbanca su TikTok
I numeri parlano chiaro: sul social delle challenge virali, l’hashtag #modestfashion è riuscito a totalizzare oltre 1,3 miliardi di visualizzazioni. Grazie, soprattutto, al lavoro di giovani influencer che, attraverso curiosi tutorial, propongono ai millennial e alla Generazione Z una narrazione moderna di un dress code che, per natura, ha un legame profondo con la tradizione, e una serie di suggerimenti utili a mettere insieme outfit alla moda ma in linea coi diktat da rispettare. Così, abaya e caftani, must have dell’estetica modesta che,
storicamente, fa perno su abiti larghi, non aderenti, non trasparenti e in grado di coprire le forme, vengono rivisitati in chiave contemporanea e ravvivati con un giubbotto d’ispirazione grunge o accessori che richiamano lo streetwear.«Negli ultimi tempi, ho notato che, nei look, sono soprattutto i Gen Z quelli più propensi a dare libero sfogo alla creatività», ha spiegato a Vogue Business la tiktoker Maha Gondal, «lo stesso discorso vale per la moda modesta. Non devi rinunciare a un vestito troppo corto se trovi il modo di sovrapporlo ad altro, facendo funzionare l’ensemble». Un trucco che garantisce un vantaggio importante tanto al consumatore quanto ai brand non propriamente affini alle sue esigenze. La content creator 26enne, ad esempio, è riuscita a fare posto, nel guardaroba, a pezzi firmati Farfetch e Ganni che, in altro modo, non avrebbe potuto sfoggiare.
I numeri di un mercato in rapida crescita
I marchi, ovviamente, non hanno perso tempo e, attraverso operazioni di marketing studiate nei minimi dettagli, hanno cercato di attirare l’attenzione di un target che sceglie di vestirsi in base a un set di norme che, spesso, non sono legate solo alla fede religiosa ma dipendono anche da gusto personale e obblighi professionali. Ed ecco che aziende come Asos e Reebok hanno provato, negli anni, a inserirsi in un mercato a loro completamente sconosciuto. Lanciando collezioni maschili in occasione del Ramadan o dell’Eid e cercando la collaborazione di webstar per ampliare il proprio business.
Non è stata affatto una mossa azzardata. Secondo i dati forniti dal nuovo State of the Global Islamic Economy Report, soltanto nel 2021 la ‘modest fashion’ è cresciuta del 5.7 per cento, incrementando i suoi fatturati da 279 a 295 miliardi di dollari. E il futuro che la attende sembra ancora più promettente: a quanto pare, nel 2022, gli economisti si aspettano un’ulteriore crescita del 6 per cento, che la porterebbe a sfiorare il tetto dei 313 miliardi di dollari, grazie soprattutto all’attività dei paesi più promettenti, tra cui Iran, Turchia, Arabia Saudita e Indonesia e di quelli che, al di fuori dell’area mediorientale e africana, stanno iniziando a muovere i primi passi, con incassi compresi tra i 160 e i 170 milioni di dollari.
Perché i brand dovrebbero collaborare con gli influencer del modestwear
Di regione in regione, lo stile tende a mutare. Quello che una ragazza indossa negli Emirati Arabi Uniti, ad esempio, può essere molto diverso da quello che, invece, sceglie una coetanea cresciuta in Malesia. «La base sta nelle radici islamiche», ha sottolineato la ricercatrice Aaliya Mia, «poi, è naturale che la cultura delle singole aree finisca per influenzare la direzione delle diverse mise». Ad esempio, negli Stati Uniti o nel Regno Unito, non ci sono così tanti negozi di moda modesta e questo, automaticamente, spinge i clienti a ingegnarsi ancora di più col fai da te. «Si vestono a strati, accostando pantaloni, gonne e maglie. Una soluzione per due problemi: assecondano i trend di stagione ma non violano i principi che hanno deciso di seguire».
Questo gap che, in alcune parti del mondo, rischia di diventare problematico, nell’era dei social può essere risolto con una soluzione immediata: una partnership tra le maison o il fast fashion e i content creator che si fanno portabandiera del modestwear sul web. Come il blogger britannico Mohamed Sharif che, nel 2020, ha aperto un account Instagram dove mescola un gusto minimal ad alcuni dettagli che richiamano il background musulmano. «La mia missione è sempre stata una: lavorare con brand di un certo peso per aprire gli occhi del mondo su questa moda che non deve essere più di nicchia». Un obiettivo condiviso anche dalla collega Nawal Sari: «I retailer dovrebbero iniziare a prendere in considerazione il nostro parere anche per capire quali prodotti realizzare e quali no», ha aggiunto, «non indossiamo soltanto abaya. Io preferisco un paio di calzoni scivolati e un raffinato maglione a collo alto».
Il ruolo di Instagram
Per quanto TikTok sia stato, sicuramente, un grosso protagonista del boom, anche Instagram ha giocato una parte importante nel rendere la moda modesta mainstream. Utilizzata come vetrina, la sezione #modestfashion conta su creator che vantano dai 195mila agli 850mila follower. E sono soprattutto loro ad attirare l’attenzione di griffe come Versace, che ha lavorato con Gondal per mostrare come costruire un look in stile modesto con una minigonna e un giubbotto di jeans.
«Ho notato che sono sempre di più gli stilisti e le maison che ci prendono in considerazione», ha raccontato, «ci permettono di lavorare con estrema libertà, accolgono il nostro spirito creativo e sono interessati a quello che faccio con le loro creazioni, reinterpretandole a modo mio». Ed è proprio grazie a lei e alle nuove generazioni se la moda modesta è riuscita a svecchiarsi e a scrollarsi di dosso parecchi pregiudizi: «È stata finalmente normalizzata», ha concluso Moon Baz, responsabile delle partnership per Meta, «originalità e inclusione sono state le carte vincenti di quest’evoluzione».
Novità anche nelle campagne pubblicitarie
Un
passo in più che ha lasciato il segno anche nei casting di indossatrici e
modelli per le campagne pubblicitarie di piccoli e grandi franchising.
«Utilizzare top model che, per abitudine, acquistano e indossano modestwear,
significa accaparrarsi clienti e, di conseguenza, rimpolpare i fatturati», ha
notato la consulente Yousra Zein, che ha lavorato con Zalando nella scelta di
modelle in hijab per una serie di servizi fotografici. «Abbiamo l’opportunità
di raggiungere comunità storicamente trascurate dall’industria della moda in
Europa, offrendo un assortimento di capi in linea con la loro cultura», ha
dichiarato una portavoce dell’azienda, «è solo differenziando l’offerta che
diamo la possibilità alle nostre clienti di sentirsi libere di indossare quel
che le fa stare bene e le rende felici».
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