da: Il Fatto Quotidiano
Dobbiamo prepararci a porgere le nostre
scuse a B. e all’avvocato Ghedini. Da anni sghignazziamo sulla loro linea
difensiva in Mignottopoli, imperniata su quattro capisaldi: B. credeva che
Ruby, marocchina, fosse nipote di Mubarak, egiziano; ad Arcore nessun
bungabunga, solo cene eleganti; lui pagava la giovane prostituta perché non si
prostituisse e le olgettine perché disoccupate a causa della sua persecuzione giudiziaria;
e comunque è innocente perché fu al massimo l’utilizzatore finale delle mignotte.
Ma ora, dinanzi alle difese di babbo Renzi e dei compagni di merende, dobbiamo cospargerci
il capo di cenere: B. al confronto aveva un alibi di ferro. Anzi, di acciaio inox.
Il
padre pellegrino. Il renziano Luigi Marroni, ad di Consip nominato
da Renzi, racconta ai pm di aver incontrato babbo Tiziano che, con Carlo Russo,
gli fece pressioni e ricatti per favorire Alfredo Romeo in un mega appalto; e
che ad avvertire i vertici Consip delle indagini furono i generali Del Sette e
Saltalamacchia, il sottosegretario Lotti e il presidente di Publiacqua Vannoni
(che conferma), così lui fece rimuovere dagli uffici le microspie piazzate due giorni
prima e rovinò l’indagine. Ma babbo Renzi nega pressioni e ricatti, giura di
non conoscere Romeo (invece il commercialista di Romeo parla di un pranzo fra i
due in una bettola) e accusa Russo di “abuso del mio cognome”. Poi cala l’arma
segreta: incontrò due volte Marroni, ma per parlargli della Madonna di Medjugorje
e aiutarlo col parroco che lo guardava storto perché separato dalla moglie. La
prima chiese a Marroni di “mettere una statua della Madonna di Medjugorje
davanti all’ospedale pediatrico di Firenze”. La seconda, dopo oltre
un anno di macerazione
interiore, Marroni gli comunicò che “la statua non si poteva mettere per una questione
di rispetto delle altre religioni”. Più che il padre del premier, il padre
pellegrino: diceva ”Maria ” e l’altro capiva “Romeo ”; diceva “miracolo” e l’altro
capiva “soldi”.
Mister
Pirl.
Il 7 dicembre, tre giorni dopo la disfatta referendaria, Tiziano parte da
Rignano in auto per l’aeroporto di Fiumicino: 300 km all’andata e 300 al
ritorno per un colloquio di 40 minuti con Mister X nel parcheggio dell’area
riservata. Al suo rientro, Russo viene chiamato da Roberto Bargilli detto Billy,
già autista del camper di Matteo alle primarie 2012, ora assessore a Rignano,
che gli dice a nome del “babbo” di “non chiamarlo e mandargli sms”. Gli
investigatori deducono che Mr. X sia dei servizi o dell’Arma (ha accesso all’area
riservata e a notizie riservate sulle indagini). E che sia incaricato di fornire al padre
dell’ormai ex premier nuovi particolari su intercettazioni e pedinamenti per salvare
lui, Russo & C. da guai peggiori. Tutti timori infondati. Tiziano infatti
non c’entra con Marroni, Romeo e gli appalti: lui si occupa solo di Madonne e di
parroci. Dunque Marroni si suicida sputtanando il padre di Renzi (che l’ha
nominato), due alti ufficiali e un ministro di Gentiloni (che l’ha
riconfermato) ed esponendosi al rischio di una raffica di querele per calunnia (che
però non arrivano) e alla sicura cacciata (che però non arriva): il tutto per
niente. Oppure, in alternativa, i vertici dell’Arma e l’allora sottosegretario Lotti
si rovinano la reputazione (la carriera no, ci mancherebbe) per allertare la
Consip sulle microspie appena piazzate e proteggere così quel sant’uomo del
babbo dell’allora premier, sospettando (i malpensanti) che si stia occupando di affari e di tangenti, mentre quello è
tutto preso dai pellegrinaggi mariani e dalle statuette della Vergine. E che
dire di Mister Pirl che convoca d’urgenza il pio Tiziano per tappargli la bocca,
ignaro del fatto che lui parla solo della Madonna di Medjugorje (che fra
l’altro secondo il Vaticano neppure esiste)? E che pensare di quel frescone di
Romeo, convinto che babbo Renzi lo stia aiutando “ai massimi vertici politici”
e si accinge a stipendiarlo con 30 mila euro al mese (più 5 mila a bimestre per
il fido Russo), mentre il padre pellegrino si occupa solo dei massimi vertici
celesti?
ProvinciaLotti. Sentito
in tutta fretta, a sua gentile richiesta, dai pm di Roma il 27 dicembre, il
neoministro dello Sport Luca Lotti racconta un episodio davvero curioso
occorsogli appena sei giorni prima. Il 21 dicembre, alle 6.30 del mattino, si trova
alla stazione di Firenze davanti al Frecciarossa in partenza per Roma. E chi ti
incontra, “casualmente”? Il presidente di Publiacqua Vannoni, amico suo e di
Matteo, a sua volta in partenza per Napoli. I due non si vedono “da sei mesi”. Vannoni
sta andando dai pm di Napoli a testimoniare sulla fuga di notizie Consip, ma a
Lotti non lo dice, anche se non è un segreto. Nel pomeriggio Lotti è in un
corridoio di Palazzo Chigi e chi ti reincontra? Vannoni. Toh, che combinazione:
per sei mesi niente, poi due volte in un giorno, prima e dopo il pasto. Vannoni
è lì per dirgli ciò che non gli ha detto al mattino: è stato dai pm. E per
spifferargli il suo verbale che, a differenza della convocazione, è top secret:
“Imbarazzato e concitato, Vannoni mi ha informato di aver riferito a Woodcock
di aver ricevuto da me informazioni sulle indagini Consip; alle mie rimostranze
circa la falsità di quanto affermato, ha ammesso di aver mentito e si è scusato
imbarazzato”. Al che Lotti narra di avergli detto: “Non ti do una testata per
rispetto del luogo nel quale siamo”. Cioè: per rispetto del luogo in cui sono,
un ministro indagato per violazione del segreto minaccia un testimone che sta
violando il segreto. Poi che fa? Si precipita in Procura a denunciare Vannoni per
calunnia, o dal sindaco Dario Nardella per farlo cacciare da Publiacqua?
Nossignori: sta fermo e zitto per due giorni, finché il 23 dicembre il Fatto gli
rivela che è indagato. Allora scrive su Facebook
che la notizia “non esiste”, poi chiede ai pm di esser interrogato perché la
notizia esiste.
L’Insaputo. Intanto,
nel Giglio Fracico, c’è solo un uomo che non sa nulla: Matteo Renzi. Delle
indagini Consip sanno suo padre Tiziano (e forse anche sua madre Lalla, al
secolo Laura Bovoli, new entry dell’inchiesta grazie alla telefonata di Russo
con Romeo su una Srl a cui destinare o meno certi soldi), l’amico Russo, gli
amici Marroni e Vannoni, l’amico e finanziatore Romeo, probabilmente gli amici
generali Del Sette e Saltalamacchia, persino l’amico Billy, autista del suo camper,
ma nessuno gli dice mai nulla. Nemmeno il suo tesoriere Francesco Bonifazi, che
ha incontrato Russo per parlare dell’eventuale salvataggio dell’Unità a opera
del solito Romeo. Nemmeno il tesoriere della sua fondazione Open-Big Bang (che
raccoglie i finanziamenti alla corrente renziana e alla Leopolda, compresi quelli
di Buzzi e quelli di Romeo), l’amico avvocato Alberto Bianchi, che lavora da quattro
anni per la Consip per la modica cifra di 300 mila euro. E Matteo non è mica un
tipo curioso, infatti non chiede nulla a nessun genitore né amico, nemmeno
quando il Fatto racconta tutto. Che ragazzo riservato. Solo Vannoni sostiene che
anche Matteo sapeva dell’inchiesta e gli disse di “stare attento a Consip”, ma
chi potrebbe mai credere a un teorema così bislacco? Chi potrebbe mai
sospettare che qualcuno dei suoi famigliari o fedelissimi parlasse con lui
dell’indagine che avrebbe potuto segnare la fine prematura della sua carriera? Al
massimo, sapeva ma a sua insaputa. Rovesciando il detto socratico: non sapeva
di sapere.
Ps. Tutti i protagonisti del caso, grazie
alla rocciosa credibilità delle loro versioni, restano al loro posto: Lotti
ministro, Del Sette comandante generale dei carabinieri, Saltalamacchia capo
dell’Arma in Toscana, Marroni a Consip, Vannoni a Publiacqua, Bargilli
assessore del Pd a Rignano. Tutti, tranne i carabinieri del Noe che, avendo scoperto
lo scandalo, non possono continuare a investigare un solo giorno di più. Ieri
la Procura di Roma, così distratta sulle fughe di notizie su Muraro, Marra,
Raggi, Di Maio e Romeo (l’altro, Salvatore, quello delle polizze), li ha
sollevati dall’incarico. Le indagini saranno trasferite, per competenza, a
Medjugorje.
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