da: Il Fatto Quotidiano
Da
governatore minaccia di tagliare i fondi ai Comuni che accoglieranno i
richiedenti asilo, ma nel 2011, in piena emergenza Lampedusa, da ministro
dell'Interno chiedeva "solidarietà" agli enti locali. Secondo la
Fondazione Leone Moressa, la Sicilia ospita 9 mila persone in più rispetto a
quanti le spetterebbero "in base al rapporto tra la popolazione nazionale
e quella regionale", criterio utilizzato per la redistribuzione delle
presenze. La Lombardia ne ha 5.000 in meno
di Gianni
Rosini
Ora il governatore della Lombardia
minaccia i suoi sindaci di non accoglierli, pena il
taglio dei trasferimenti regionali. Ma nel pieno dell’emergenza
del 2011, con Lampedusa che scoppiava di migranti, il ministro
dell’Interno chiedeva agli enti localiun patto per accoglierne 50mila “nel nome
della solidarietà“. Due ruoli istituzionali diversi, dietro la carica politica
sempre la stessa persona: Roberto Maroni. La cui Regione accoglie meno
immigrati di quanti dovrebbe.
Lampedusa, marzo 2011. Gli sbarchi si
succedono da almeno 5 settimane, incessanti. L’isola è un campo profughi a
cielo aperto, le motovedette della
Guardia Costiera escono a ciclo continuo
verso il mare aperto per recuperare i barconi stracarichi di migranti, notte e
giorno. Tra il Cie, il porto e la “collina della vergogna” che lo
sovrasta stanziano tra i 7 e gli 8mila immigrati al giorno. Gli occhi
dell’Europa sono puntati sull’Italia e il 22 marzo Roberto Maroni, allora
capo del Viminale, convoca al ministero – insieme all’ora capo della
polizia, Antonio Manganelli ed al commissario straordinario per
l’emergenza, Giuseppe Caruso – i presidenti di Regioni, Upi ed Anci per
chiedere l’ok a un piano di emergenza che prevedeva la distribuzione in tutto
il paese di 50mila profughi.
”Tutti i territori – sottolinea
Maroni – devono sentirsi coinvolti”. Non solo: il ministro del
Carroccio ha addirittura un occhio di riguardo per le regioni del Sud.
Lo smistamento dei migranti, spiega, ”avverrà in base al numero di
abitanti per regione, ma ci saranno dei correttivi: Sicilia, Calabria e
Puglia, che hanno già una forte pressione migratoria, Abruzzo, che ha
avuto il terremoto e altre che ospitano già un numero elevato
di centri per migranti, saranno salvaguardate”.
Il piano però non andava giù agli enti
locali, con le Regioni che accusavano l’esecutivo di aver fatto “scelte
unilaterali”. Così il 31 marzo Maroni tornava sull’argomento per richiamare i
governatori alle loro responsabilità: “Abbiamo individuato dei luoghi in tutte
le regioni, escluso l’Abruzzo, sia per i profughi sia per i clandestini –
scandiva l’allora capo del Viminale al termine della riunione di governo a
palazzo Chigi – è un’emergenza grave che richiede la solidarietà e il concorso
di tutte le regioni. Credo che questi atteggiamenti di rifiuto che sorgono
ovunque si individui un luogo dove accogliere temporaneamente questi
clandestini – sottolineava, con fare stizzito, Maroni – non possano
essere giustificati“.
Quattro anni dopo lo scenario istituzionale
è mutato. Ora Maroni sta dall’altra parte della barricata, sul versante di
coloro che devono industriarsi per garantire accoglienza ai richiedenti asilo.
Una posizione che non gli piace, ma che sfrutta abilmente in chiave politica.
“Ho deciso di scrivere ai sindaci per dirgli di rifiutarsi di prenderli.
E ai sindaci che dovessero accoglierli ridurremo i trasferimenti
regionali”, ha annunciato domenica il governatore della Lombardia, facendo
fronte comune con Liguria e Veneto. Eppure in base al’ultimo
report elaborato dal ministero dell’Interno, pubblicato a marzo, le tre
regioni accolgono complessivamente il 15% delle presenze, molto meno di quanto
non faccia da sola la Sicilia, a quota 21%. Anzi, dati alla mano, i
tre territori ne accolgono meno di quanto dovrebbero.
“I criteri di redistribuzione dei
richiedenti asilo all’interno del Paese – spiega Enrico Di Pasquale,
ricercatore della Fondazione Leone Moressa – si basano esclusivamente
sul rapporto tra la popolazione nazionale e quella regionale”. In base a questo
metodo di calcolo, quindi, la Sicilia, che secondo i dati del Viminale ospita
circa 14 mila immigrati, e ha una popolazione pari a circa l’8,3% di
quella nazionale, dovrebbe dare assistenza all’8,3% dei richiedenti asilo,
ossia 5.583 persone. Tutti questi richiedenti asilo, insieme ai
circa 2 mila in eccesso nel Lazio, i 1.400 in Puglia e
i 3.700 in Calabria, dovrebbero trovare posto nelle strutture temporanee
d’accoglienza di Regioni che non hanno ancora raggiunto la loro “quota” di
migranti. E quella che dovrebbe accoglierne più di tutte è proprio la Lombardia
di Maroni, alla quale spetterebbero, a fronte di una popolazione di 10
milioni di abitanti, 11.168 richiedenti asilo, quasi il doppio
rispetto ai 5.368 presenti oggi nel territorio lombardo.
Anche Veneto e, in minor parte, Liguria,
però, rientrano tra le regioni del Nord che hanno un “debito” verso quelle del
Sud. Il Veneto, infatti, dovrebbe assistere circa 3 mila richiedenti
asilo in più rispetto ai 2.494 che già ospita, mentre nella regione
del neoeletto Giovanni Toti dovrebbero arrivarne altri 400. “Ciò
che i governatori lamentano – dice Di Pasquale – è la mancanza di spazi adatti
all’accoglienza. Il problema è che questa è una costante di tutto il territorio
italiano e al sud è diventata un’emergenza”.
“La decisione di dividere i migranti per le
varie Regioni è stata presa dal ministro Maroni”, ha ricordato Matteo Renzi in
conferenza stampa dal G7 in Germania. Quella sull’immigrazione è una questione
rimasta “colpevolmente aperta per troppi anni. Ci vorranno settimane, è un
lavoro di serietà – ha spiegato il premier – è facile dire
‘occupiamo le prefetture’. Si tratta di risolvere guai causati da chi oggi sta
urlando. Nomi e cognomi sono gli stessi“. Non ha fatto nomi, il presidente del
Consiglio, ma a Roberto Maroni saranno fischiate le orecchie.
Nessun commento:
Posta un commento