da: Corriere della Sera
E
Buzzi disse al pm: «Non registri perché se parlo casca il governo»
I
rapporti con il boss Carminati? «È una brava persona, si è sempre comportato
bene». «Se c’è stata qualche corruzione, riguarda solo il 3% del fatturato
della coop»
di Giovanni
Bianconi
«Insomma, ho dato 30 o 40.000 euro a
Marino, al suo comitato... Tutti tracciati... Ti chiamavano, le famose cene,
“c’è una cena con Alemanno, 1.000 euro a persona”, tu prendevi un tavolo e
ovviamente erano 10.000 euro. Ma noi ne abbiamo fatte, noi l’abbiamo fatte pure
con Renzi la cena...». Tenta di ricondurre tutto alla politica e alle sue
regole - scritte e non scritte - sui finanziamenti elettorali, Salvatore Buzzi.
E davanti ai pubblici ministeri che l’hanno fatto arrestare per associazione
mafiosa, corruzione e altri reati parla a ruota libera. Ma quando arriva al
capitolo del campo profughi di Mineo, in Sicilia, si blocca. «Su Mineo casca il
governo», accenna. Adesso è il pm Giuseppe Cascini a bloccarlo: «Queste sono
frasi inutili. Noi facciamo un altro mestiere». Buzzi insiste: «Si metta nella
mia posizione».
A questo punto interviene il procuratore
aggiunto Michele Prestipino: «No guardi, io non ci penso minimamente...». Buzzi
indica il registratore: «Io potrei, cioè... se possiamo spegnere». I pm Cascini
non ci pensa nemmeno: «È vietato dalla legge. Forse lei non ci crederà ma
ancora in questo Paese c’è qualcuno che segue le regole». Buzzi insiste: «Se lo
può spegnere un secondo parliamo...». «No! Non si può». E la deposizione, un
po’ a fatica, ricomincia.
È il 31 marzo scorso quando i due
magistrati della Procura di Roma entrano nel carcere di Rebibbia per ascoltare
tre ore di dichiarazioni spontanee di Salvatore Buzzi. Un’autodifesa per
provare a chiarire gli intrecci sospetti con la criminalità e la politica. E
ribadire - come ha ribadito ieri, davanti al tribunale per le misure di
prevenzione - che se pure c’è stata qualche corruzione «riguarda solo il 3% del
fatturato della cooperativa, quindi poca cosa». E ancora: «Massimo Carminati è
una brava persona, come me si è sempre comportato bene».
Nel verbale di due mesi fa il «re delle
cooperative» romane racconta, interrotto solo dalle domande del suo avvocato,
l’inizio dei rapporti con l’ex estremista nero: «Lo conoscevo da trent’anni,
dalla mia precedente carcerazione. Ho conosciuto tutti loro: Alemanno,
Carminati, Pucci... È come dire “ho fatto il militare assieme”. Poi Carminati
lo rivedo casualmente all’Eur, mi sembra al bar Palombini». Era il 2012. «Dice
“ah, che fai, cosa fai”... Gli ho fatto: “Guarda, lavoriamo all’Eur e abbiamo
un problema, non ci paga mai l’Eur». Il riferimento è all’Ente Eur , di cui era
amministratore delegato Riccardo Mancini, altro ex estremista neofascista degli
anni Settanta. «Allora Carminati dice, “guarda, ci penso io”, perché lui c’ha
questa cosa però, è una persona molto alla mano».
Comincia così una nuova relazione, che
Buzzi riassume negli interessi comuni in qualche impresa, cercando di sminuire
l’ampiezza del giro d’affari: «Lui per esempio sugli immigrati ha partecipato
solo ai minori non accompagnati, per la fornitura di pasti... Era un amico,
insomma. Ci presentava delle persone per affittare gli appartamenti, ci faceva
altre cose, faceva attività di promozione. Tanto è vero che lui c’aveva sempre
questa fobia per le indagini, che dico “scusa Massimo ma che ti frega? Non stai
facendo nessun reato”». Solo dopo, dice Buzzi, sono successe cose che «non
potevo mai immaginare», ma non spiega quali.
Gioca solo in difesa: «Eravamo convintissimi
di far diventare Carminati un imprenditore legale». Poi, certo, non faceva
fatture e c’era qualche stranezza: «Era sempre refrattario, questa storia dei
telefonini che cambiava continuamente. Poi, complimenti li avete tutti
intercettati... Però non è che emergono grandi cose. Io non mi sono mai reso
conto di stare a trafficare con la mafia. Noi siamo sempre stati contro».
Le manovre per far approvare i Debiti Fuori
Bilancio durante le assemblee comunali, con i governi sia di centrodestra che
di centrosinistra, per Salvatore Buzzi sono «lavoro politico», e niente più.
Sui soldi versati a Panzironi, quando guidava la Municipalizzata per la
raccolta rifiuti, Buzzi dà una spiegazione che - ammette lui stesso - «si fa
fatica a crederci, ma è il sistema in cui operavamo»; in pratica avrebbe
chiesto una tangente per non far inserire un’altra ditta in una gara d’appalto:
«Lui per lasciarla a noi ci chiese 50.000 euro, quindi noi glieli abbiamo dati
perché la Multiservizi non partecipasse».
Per l’indagato questo non è reato, come il
denaro pagato a un dipendente comunale che solo con una «mazzetta» fece
ricomparire 200.000 euro di finanziamenti per un appalto: «Quella è
un’estorsione», afferma sicuro Buzzi, tanto da suscitare l’ironia di un pm:
«Abbiamo un giurista». Ma lui insiste: a quell’impiegato sono stati trovati
570.000 euro a casa, e «questo dimostra che non siamo criminali, perché non
siamo andati a rubarli... Avevo da amministrare 60 milioni di euro e non mi
sono mai approfittato di una lira... È facile dice “io non rubo” ma io, io
potevo rubare e non ho rubato».
Le (presunte) tangenti a Odevaine e altri furono
solo aiuti e prestiti a persone in difficoltà economiche per le separazioni
dalle rispettive mogli. Per il resto Buzzi se la prende con se stesso: «Un po’
di millantato credito pure io lo faccio quando racconto le cose... Purtroppo io
sono colpevole come parlo al telefono, colpevolissimo». E si lamenta di aver
già perso tutto, prima ancora della sentenza: «Al di là della condanna che io
posso avere, ho perso trent’anni di lavoro, ho perso la mia onorabilità, quindi
la mia pena io già ce l’ho».
Nessun commento:
Posta un commento