da: https://www.avvenire.it/ - di Leonardo Becchetti
L’aggiornamento di visioni e di orizzonti di tutte le forze politiche è un’operazione importante e necessaria, perché il mondo di oggi ha poco a che vedere con quello di 20-30 anni fa e in pochissimi anni abbiamo assistito a straordinari rivolgimenti, crisi sistemiche e importanti progressi sul fronte delle tecnologie e delle scienze sociali. Per questo è essenziale che tale percorso, nel quale è oggi impegnato il Partito Democratico alle prese anche con la riscrittura del suo “manifesto” dei valori, non si riduca (come talvolta semplificato e volgarizzato nella comunicazione) ad una scelta di campo a favore o contro il mercato o tra liberismo o keynesismo dando a tutto un sapore da vecchi libri di scuola.
Le questioni sul tappeto sono infatti molto più complesse ed affascinanti e richiedono innanzitutto un’analisi accurata e puntuale di pregi e limiti del sistema economico globale che si possono riassumere in due questioni fondamentali. La prima è che un sistema costruito sui criteri di produttività ed efficienza (essenzialmente produrre più beni e servizi vendibili in minor tempo) ha avuto meriti straordinari nel favorire la crescita della popolazione, dell’aspettativa di vita e del benessere economico. Quel modello però oggi ci ha portato di fronte ai limiti fisici del pianeta e richiede una rapida conversione verso criteri di circolarità (capacità di creare valore economico con minor impatto possibile sull’ecosistema e sulle emissioni climalteranti).
In parole semplici, se finora l’umanità per espandersi ha dominato la natura, ora deve rapidamente e urgentemente adattarsi a essa aumentando la propria resilienza e tenendo conto per ogni scelta fatta delle ripercussioni sull’ecosistema che ci fornisce servizi essenziali per la vita. La seconda questione e vizio originale del modello è aver confuso il benessere e il benvivere delle persone con il benessere del consumatore assolutizzando il valore della riduzione dei prezzi attraverso la concorrenza. Il mondo in cui viviamo è frutto di questi limiti: aziende che massimizzano il profitto “non-importacome”, grandi benefici per noi consumatori che non ci accorgiamo che dietro un prezzo basso possono nascondersi sfruttamento del lavoro, insostenibilità ambientale e scarsa qualità dei prodotti.
Per correggere questi due errori abbiamo bisogno di tre mosse fondamentali. La prima è cambiare gli indicatori verso cui orientare l’azione politico-economica mettendo al centro la generatività (che è la chiave della soddisfazione e ricchezza di senso del vivere) e circolarità. I partiti del futuro non devono aver paura di puntare alto, ovvero all’obiettivo di creare le condizioni per la realizzazione piena della vita umana in un quadro di sostenibilità con le risorse del pianeta.
La seconda è favorire la biodiversità d’impresa. Abbiamo urgente bisogno di una nuova generazione di imprenditori più ambiziosi che non guardino solo al profitto (realizzato non importa come) ma anche all’impatto socioambientale. Questo secondo obiettivo si realizza anche cambiando alcune regole fondamentali del gioco come quelle degli appalti orientati a generatività e non al prezzo minimo (ottenuto “non importa come”), del commercio internazionale (orientato a meccanismi come quelli dei border adjustment mechanism recentemente votati dal parlamento europeo) per evitare che lo stesso sia una corsa al ribasso su diritti e futuro del pianeta.
La terza è capire che le soluzioni dei problemi non possono arrivare da sovrani illuminati o da istituzioni lasciate sole a se stesse. Fondamentali sono invece i percorsi di partecipazione e di cittadinanza attiva attraverso i quali le energie della società civile concorrono con le istituzioni in percorsi di amministrazione condivisa e di coprogrammazione e coprogettazione (ad esempio per disegnare i servizi di welfare) come sollecitato dalla recente sentenza della Corte Costituzionale. Il vero tesoro del nostro paese, il nostro primato, è nella forza storicamente determinatasi della società civile. Valorizzare e rafforzare questo capitale sociale ha dunque il duplice valore di contribuire a risolvere problemi concreti rafforzando al contempo la democrazia. Tutto questo si traduce in nuovo glossario di parole fondative ed operative che le forze politiche del futuro devono assumere.
Parole fondative come generatività, inclusione, rigenerazione, contribuzione, sussidiarietà, cittadinanza attiva, cooperazione che a loro volta abilitano parole operative come giustizia riparativa, amministrazione condivisa, reinserimento lavoro, voto col portafoglio, transizione ecologica, comunità energetiche rinnovabili solo per citarne alcune. Alla luce di quanto considerato, credo appaia chiaro che sono in gioco questioni profonde e affascinanti che sarebbe riduttivo e assolutamente miope ricondurre a una dialettica keynesiani contro liberisti, o mercatisti contro regolatori. Come insegna ogni libro di economia che si rispetti il mercato ci garantisce alcuni benefici importanti ma non è in grado lasciato a se stesso di allineare interessi personali e bene comune.
Detto tecnicamente il mercato fallisce in molte
circostanze, ma anche l’intervento delle istituzioni fallisce quando ad esempio
queste ultime vengono “catturate” da coloro che dovrebbero regolare. La
soluzione dunque non è semplicemente scegliere la posizione di un cursore tra più
o meno intervento pubblico per risolvere questo problema, ma richiede un’azione
sinergica e concertata di cittadini, reti della società civile, imprese e
istituzioni orientate verso l’obiettivo del bene comune. Si tratta in fondo
della saggezza con cui il nostro Paese è cresciuto e si è sviluppato nel tempo
attraverso la ricchezza dei corpi intermedi. Il futuro di fronte a noi richiede
scelte nuove ma ha radici antiche nella sapienza dei nostri territori.
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