da: https://www.repubblica.it/ - di Chiara Ugolini
La nuova serie animata diretta dal veterano Darrell Van Citters: "Una delle chiavi del loro successo è il linguaggio che trascende ogni barriera nazionale perché non è fatto di parole"
Darrell Van Citters lavora nel campo dell'animazione da quarantacinque anni, i suoi compagni della scuola d'arte sono altri veterani del Walt Disney Studio come Chris Buck (Frozen), John Musker (La principessa e il ranocchio e Oceania) e Brad Bird (Gli incredibili e Ratatouille). Nella sua lunga carriera ha lavorato con i personaggi classici dei Looney Tunes, primo fra tutti Bugs Bunny e dopo aver lasciato la Warner Bros ha creato una sua società dove ha continuato a realizzare decine di cortometraggi e spot d'animazione. È il regista della nuova serie Tom & Jerry a New York su Boomerang +1 (canale 610 di Sky), che per l'occasione diventa per dieci giorni il Tom&Jerry Channel, dove verranno trasmesse oltre alle puntate della nuova serie anche una selezione dei film più divertenti della coppia.
Nelle nuove avventure i due eterni amici-nemici abitano nel lussuosissimo hotel Royal Gate nel cuore di Manhattan e vivranno incredibili (dis)avventure nei luoghi più tipici di New York: da Central Park agli storici Musei, passando per i grandi magazzini fino agli inconfondibili taxi che sfrecciano a gran velocità lungo le strade della metropoli, il gatto combinaguai e il topo dispettoso getteranno scompiglio nella Grande Mela. Abbiamo intervistato il regista americano via Zoom.
Tom & Jerry sono stati creati da Hanna e Barbera più di 80 anni fa. Qual è il segreto di una carriera così lunga?
"Innanzitutto credo che una delle chiavi del loro successo sia il fatto che non ci si debba preoccupare della lingua, il loro linguaggio trascende ogni barriera nazionale perché non è fatto di parole. La commedia fisica come questa, la slapstick comedy, si capisce ovunque nello stesso modo e questo li ha resi popolari in tutto il mondo".
Il loro rapporto di amore e odio, amicizia e rivalità è quello che li contraddistingue. Come è cambiato dall'invenzione di questa coppia a oggi?
"Credo che il loro legame possa essere ricondotto all'idea di due fratelli che litigano, si amano anche se discutono, si dice litigare 'come gatto e topo' quindi cosa c'è di più iconico? Molti cartoon classici si basano sul concetto di preda e predatore, ma con Tom&Jerry non tratta di questo: è piuttosto una rivalità tra fratelli".
Con Tom&Jerry a New York avete lavorato per ritrovare il più possibile lo spirito originale. Come avete fatto?
"Voler essere fedeli ai creatori originali di personaggi di animazione storici come Tom e Jerry è complicato. Occorre guardare a loro come fonte di ispirazione, ma non pensare di realizzare qualcosa come avrebbero fatto loro. Per capirsi non ci siamo mai chiesti cosa avrebbero fatto Bill (William Hanna, ndr) e Joe (Joseph Barbera, ndr) ma ci siamo sempre chiesti cosa avrebbero fatto Tom e Jerry. Tutto il processo quindi è stato sui personaggi senza guardare troppo al passato, ma poiché avevano messo eccellenti basi nella relazione tra personaggi non è stato difficile per noi rispondere alla domanda".
Queste nuove avventure si svolgono a New York. Qual è il legame dei personaggi con la città?
"Ci piaceva l'idea di dare un nuovo contesto alle avventure di Tom e Jerry, solitamente tutto si svolge in un sobborgo. Qui invece i due si ritrovano nei luoghi più iconici della città, ci piaceva l'idea di dar loro una location nuova come il Chrysler Building o l'Empire State Building. La città stessa è diventata un personaggio perché anche se è un cliché il fatto che sia 'la città che non dorme mai' è stato molto divertente mettere quei due in un ambiente totalmente nuovo".
Lei è un veterano dell'animazione, ha iniziato agli studi di Burbank negli anni Ottanta. Come è cambiata l'animazione e cosa non cambierà mai?
"La principale differenza è tecnica naturalmente. Quando ho iniziato tutto si faceva a mano, ogni tappa del processo dall'inizio alla fine e quando ho creato la mia azienda negli anni Novanta tutti lavorano già sul computer. Quindi c'è stato un grande lavoro di adattamento alle nuove tecnologie, senza le quali oggi non si potrebbe certo realizzare la quantità di prodotti di animazione che ci sono nelle tv, nelle piattaforme. Quello che invece sono convinto non cambierà mai è il lavoro sui personaggi, sulle scelte che devono essere fatte nell'animarli, sull'umorismo e sull'elemento di commedia".
Lei ha lavorato per giganti dell'animazione come Warner Bros e Disney, come si può lavorare a lungo per un franchise e comunque lasciare il proprio tocco artistico?
"Molto dipende da quelli che sono sopra di te, se riescono a capire cosa tu puoi portare al party e permetterti di farlo. Tutto sta ad avere degli executive intelligenti che capiscano cosa puoi offrire e non ostacolarti... diciamo che la chiave è lavorare con gente in gamba".
Lei è arrivato all'animazione attraverso un programma creato dagli studi Disney che selezionava artisti dal prestigioso California Institute of the Arts. Eravate un bel gruppetto, quanto importante è stata questa sorta di cameratismo?
"Molto. Cal Arts è stato l'inizio per molti di noi, sono stati proprio i primi anni, interessanti perché a quell'epoca l'animazione non sembrava un percorso professionale che potesse avere uno sbocco, un futuro, cosa che invece poi è stata per tanti di noi. Siamo andati d'accordo fin da subito perché avevamo una visione simile sulle cose: volevamo riportare il settore ai fasti dell'animazione classica, è stato bello lavorare con persone con cui c'era un'affinità come Chris Buck o Michael Giaimo (Pocahontas) per esempio. Abbiamo lavorato insieme su tanti progetti nel corso degli anni, non c'era neanche bisogno di parlarsi molto, ci si capiva al volo. Abbiamo creato una bella squadra".
A un giovane che oggi si avvicina all'animazione, un settore che sta cambiando così velocemente, che consiglio si sentirebbe di dare?
"La prima cosa che gli direi è di non impazzire dietro agli aspetti tecnologici perché la tecnologia cambia sempre quindi la cosa importante è apprendere i fondamenti dell'arte e della commedia, perché tutti gli aspetti legati alla tecnologia cambiano sotto i tuoi occhi. La seconda cosa poi che direi è che occorre essere flessibili perché tutto è mutevole. Se tu hai una buona preparazione artistica riuscirai a gestire qualsiasi cambiamento, ma non devi concentrare tutta la tua attenzione sugli strumenti".
Qual è stato l'incontro più importante per la sua carriera?
"Alla fine credo quella con la Warner Bros. Perché di fatto sono circa 35 anni che prima da interno poi da freelance lavoro con loro".
Prima di trasferirsi nel 1987 alla Warner Bros., quando ancora lavorava per Disney, è stato nel gruppo di artisti che ha sviluppato 'Chi ha incastrato Roger Rabbit'. Che ricordo ha di quella esperienza?
"Non troppo buona purtroppo, è stato un periodo difficile. Era un bellissimo progetto e ci abbiamo lavorato per tre anni, ma poi le cose ci sono cambiate sotto i piedi. Volevamo adattare il romanzo come un 'buddy-buddy movie' con un personaggio d'animazione e uno in carne e ossa, stavamo andando nella direzione giusta secondo noi. Poi però lo studio ha scelto di cambiare chi stava dietro al progetto e noi ci siamo ritrovati tagliati fuori, è stato brutto ma possiamo sempre consolarci pensando che abbiamo messo le fondamenta per qualcosa di bello".
Cosa pensa della decisione dei parchi Disney di modificare l'aspetto di Jessica Rabbit?
"Devo
dirvi la verità, non ho molto da dire. Se non che tutto questo non mi sorprende
più di tanto".
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