Premessa: Giuseppe Conte e ministri farebbero meglio a leggere l’intervista che Famiglia Cristiana ha fatto a un ristoratore milanese (post sotto).
Ciò premesso, va detto che a Milano - da qualche anno - una sola tipologia di commercio si è sviluppata, ampliata esclusivamente: quella della ristorazione.
Tutto ebbe inizio con il governo Prodi, con le liberalizzazioni di Bersani: “spariscono le licenze commerciali per gli esercizi fino a 300 metri quadrati di superficie, chiunque potrà aprire un negozio e potrà vendere ciò che vorrà”.
Che figata, vero (?!). Ma ogni cosa, ogni scelta, portà in sé dei pro e dei contro. Che si vedono con il tempo.
Certo. La possibilità di aprire il negozio che si vuole ha consentito di evitare crisi, di incrementare guadagni. Ma anche ha creato una distribuzione distorta per il consumatore.
Vuoi per le liberalizzazioni di Bersani, vuoi per la voglia (legittima) di guadagnare il più possibile nel minor tempo, in un paese nel quale all’italiano medio non devi togliere la macchina, le vacanze e il cibo, a Milano - soprattutto dopo l’Expo - si sono moltiplicati ristoranti e bar. Sì, perché al milanese medio non devi togliere oltre a quanto sopra, anche il cappuccino, il croissant, la spremutina o la centrifuga. E poi c’è il rito dell’happy hour. E la movida….
Gli altri generi di negozi al dettaglio sono in via di estinzione senza che nessun governo locale, nessuna associazione, abbia fatto qualcosa per mantenerli in vita. Non sia mai. Tuteliamo orsi, lupi e cinghiali. Chi se ne fotte del piccolo/medio negoziante al dettaglio. Sono anni che la grande distribuzione ha brasato panetterie, salumerie,
macellerie. Non parliamo di negozi quali ferramenta e simili. Qui, il problema è anche un altro: molti ragazzi laureati, pochissimi che hanno voglia di fare un mestiere. Per vendere bulloni, chiavi, mica devi essere laureato alla Bocconi. Se poi sei una chiavica come laureato, vabbè, ci pensano papà e mammà se ti mancano i coglioni.Vuoi per la grande distribuzione, vuoi perché aprire un bar evidentemente rende di più di altro esercizio (tralascio le aperture per il riciclo del denaro sporco), se giri per Milano - in qualsiasi zona, anche la più periferica - non vedi che bar, pizzerie e ristoranti. Altri tipi di negozi si contano sulla punta delle dita.
E’ quindi inevitabile che, nel momento in cui ti arriva una pandemia, cui si cerca di mettere fine innanzitutto con il lockdown, con lo smart-working, questo settore vada in crisi. Crisi nera. Sia chiaro. Anche se ci fosse la metà di bar e ristoranti il settore sarebbe in crisi a Milano, ma che questa città sia da qualche anno diventata un bar unico, è un’anomalia. Non è sintomo di un benessere, di una economia solida e funzionale.
A prescindere dal covid, si dovrebbe tornare a una maggiore diversificazione del tipo di commercio. Ma il commerciante al dettaglio andrebbe sostenuto, aiutato dai Comuni, altrimenti viene spazzato via.
Se ti fai un giro nel centro di Milano, ad esempio in galleria Vittorio Emanuele, a parte qualche negozio di target medio-altro, vi sono catene di distribuzione che trovi nei centri commerciali. Sono assenti negozi artigianali, di economia solidale. Negozi che potrebbero rendere il centro di Milano - per chi non ha la carta di credito da quadrilatero della moda - un punto di ritrovo per un shopping diverso, di qualità.
Se il Covid ha mostrato tutte le criticità, i limiti, le incongruenze della Sanità, sta mostrando anche i limiti di certe liberalizzazioni. Che hanno dei pro e dei contro. Ma dei contro, a Milano, non se n’è occupato nessuno.
Il fruttivendolo, il panettiere, il salumiere che ancora cercano di resistere nel mio quartiere o in quello vicino, si sono rivatalizzati durante il periodo di lockdown. Ed è giusto così.
Bisogna ripensare a una diversa distribuzione che in tempo di pandemia non escluderebbe comunque una crisi ma potrebbe avere un impatto minore e, inoltre, renderebbe questa città non solo un unico centro commerciale ma non luogo dove ricercare e trovare un modo più originale e sensato di spendere. Sì, ne gioverebbe l’economia della città e i milanesi tornerebbero a spendere.
Per fare questo serve una politica locale
lungimirante. Che non mi pare di vedere in Amleto
Sala, all’anagrafe Giuseppe Sala
(mi ricandido o non mi ricandido…).
Per quanto ovvio, lo scrivo subito: manco nel centro-destra di Salvini e Meloni,
il cui obiettivo è quello di “facilitare” il commercio a Milano fottendo i
cittadini onesti. Vale a dire: chiudendo un occhio (anzi, due) sull’evasione
fiscale delle partite IVA.
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