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Regeni, le reticenze di
Cambridge e i silenzi sui finanziamenti
di Giampaolo
Tarantino
Dopo oltre un anno e mezzo di attesa le
autorità italiane hanno interrogato Maha Abdel Rahman, tutor di Giulio Regeni
all’Università di Cambridge, il ricercatore universitario italiano ucciso al
Cairo all’inizio del 2016. Mercoledì mattina la polizia britannica, su
richiesta della procura di Roma, ha perquisito la casa e l’ufficio di Rahman.
Si vuole fare luce anche su aspetti che riguardano i finanziamenti alla ricerca
del giovane italiano.
La donna è una delle persone interessate
dall’indagine sulla morte di Regeni perché secondo l’ipotesi della procura di
Roma fu lei a proporre e quasi a imporre
a Regeni le ricerche sui sindacati indipendenti egiziani, tema che secondo la
ricostruzione più accreditata attirò l’attenzione e i sospetti dei servizi
segreti egiziani, che per questo lo sequestrarono, torturarono e uccisero.
Secondo quanto avevano scritto i quotidiani italiani Rahman si sarebbe da
subito rifiutata di collaborare con le indagini e di consegnare i propri
computer e smartphone perché venissero analizzati.
Oggi il Corriere riporta alla luce i
rapporti tra le prestigiosa università e settori della società egiziana che il
governo del Cairo voleva tenere sotto controllo. Come già emerso la fondazione
britannica Antipode era disposta a finanziare il sindacato degli ambulanti. Sempre il giornale di via Solferino aveva
scritto: “La chiave potrebbe essere in un finanziamento. Anzi nella promessa di
un finanziamento: 10 mila sterline che la Antipode Foundation , con cui Regeni
era in contatto, eroga per finanziare singoli progetti”.
Figura chiave della vicenda Regeni è quella
di Mohamed Abdallah, l’uomo che ha ammesso di averlo consegnato alle autorità
del ministero egiziano. Un’emittente televisiva egiziana ha trasmesso un video
registrato di nascosto dal presidente del sindacato dei venditori ambulanti in
cui si vede Abdallah che gli chiede denaro per curare la propria moglie malata
di cancro. Regeni rifiuta di darlo ma prospetta la possibilità di finanziare la
raccolta di “informazioni” sul sindacato e i suoi “bisogni”. Regeni ha proposto
al sindacalista il progetto di finanziamento di 10mila sterline a favore delle
iniziative degli ambulanti, da ottenere tramite il suo lavoro di ricerca. Ma si
mostra inflessibile rispetto alle proposte di Abdullah di destinare il denaro
ad altri scopi, come un intervento medico o scopi politici.
Da un articolo apparso sull’Espresso che
faceva il punto sui documenti inviati dall’università inglese e arrivati il 22
agosto 2016 al procuratore capo di Roma Giuseppe Pignatone e del sostituto
Sergio Colaiocco, emerge “un’attestazione sul rischio firmata dal giovane
studioso friulano e dalla sua supervisor e consegnata all’Università di
Cambridge in cui si fa presente che non vi sia alcun pericolo nello svolgere
una ricerca sui sindacati egiziani al Cairo. Non risultano però dettagli su
come sia nata l’idea della ricerca, su quando sia stato deciso di applicare la
metodologia partecipata, su chi abbia fornito i contatti, sia quelli accademici
sia quelli all’interno dei sindacati”. Una tesi che sembra essere smentita
dagli sviluppi più recenti delle indagini da cui emerge, invece, quanto
l’attività di Regeni potesse essere pericolosa in quanto lo avrebbe messo in
contatto con situazioni su cui il regime egiziano cercava di operare un’azione
di controllo.
Carlo Panella, giornalista esperto di
Medioriente, è stato tra i primi a scrivere che per fare luce sulla sorte del
ricercatore italiano bisognava guardare alla sua attività di ricerca. Su
Huffington Post annotava che non c’era stato alcuno scrupolo nello spingere
“Regeni ad esporsi frequentando riunioni sindacali in cui si progettavano
scioperi illegali e lo hanno incitato a prendere contatti con esponenti
dell’opposizione”.
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