da: https://www.ilfattoquotidiano.it/
- di Giovanna
Trinchella
L'ex ministro è imputato per le ipotizzate pressioni per far ottenere contratti a due fedelissime: quell'indebita induzione che fu concussione che è punita dalla norma con la sospensione immediata da governatore. Quella stessa legge prevede anche la decadenza da parlamentare, ma solo quando a una sentenza definitiva di condanna. Come è accaduto a Silvio Berlusconi
Passata la sorpresa per l’addio al Pirellone,
che neanche Lucia ai monti, la domanda che tutti si fanno è perché Roberto Maroni, presidente della
Lombardia, con buone chance di essere rieletto governatore, lascia la poltrona?
I “motivi personali”, che non sono di salute, però non gli hanno impedito
di informare in conferenza stampa che
è “a disposizione”, che “ha idee, progetti”. In pubblico non
avanza “pretese, né richieste” salvo puntare i piedi per un seggio
sicuro in Parlarmento, con ogni probabilità al Senato, come raccontano dalle
retrovie leghiste. Laggiù nella Roma che fu ladrona, dove è stato due
volte apprezzato ministro dell’Interno e poi del Welfare, l’ex segretario della
Lega sarà più al sicuro dalle conseguenze di una eventuale condanna nel
processo che si sta svolgendo a Milano e che con molta lentezza si sta
avviando alla conclusione. Il giudizio si è aperto il 30 novembre
2015 e il dibattimento è stato aperto solo 10 mesi dopo, alla
requisitoria manca poco: un paio di udienze.
Il già
deputato, e chissà futuro senatore, è imputato per le
ipotizzate pressioni per far ottenere contratti a due fedelissime: quell’indebita induzione che fu concussione (prima
dello spacchettamento) che è punita dalla legge Severino con la sospensione
immediata dalla carica di governatore. Quella stessa norma prevede anche la
decadenza da parlamentare, ma solo quando la Cassazione conferma una sentenza
di condanna. Proprio come è accaduto a Silvio Berlusconi che ha perso la
poltrona rossa di Palazzo Madama solo tre mesi dopo il verdetto definitivo sul caso
Mediaset. Fatti due conti all’uomo della ramazza del dopo Bossi e dello
scandalo sui soldi pubblici usati per le spese della Family conviene
salutare la Lombardia. Anche perché conclusi gli appuntamenti in aula, con le
ultime audizioni dei testi della difesa (11 e forse 25 gennaio), il pm Eugenio
Fusco è pronto per chiedere al Tribunale la condanna.
Il “processetto“, così lo chiamò in udienza
proprio il pubblico ministero, che però si è rivelato di uno dei più lunghi
della storia recente del Palazzo di giustizia milanese (con una serie di
udienze saltate per il mal di schiena dell’avvocato Michele Aiello),
sicuramente subirà uno stop per la campagna elettorale; basti ricordare che
quando Maroni fu candidato capolista a Varese nel giugno del 2016 il Tribunale
sospese e rinviò.
Quindi solo
a elezioni concluse si potrà tornare in aula ad aprile e chissà che i
giudici a maggio non riescano, a due anni e mezzo dalla prima udienza, a
emettere la sentenza. Ma a quel punto che sia assoluzione – e dopo il verdetto
per l’ex dg di Expo Malangone non lo si può certo escludere – o condanna, Maroni potrà contare sullo scudo
parlamentare. Se non addirittura – se dovesse essere confermato il rumor di
un ventilato ingresso a Palazzo Chigi – su una protezione di livello
istituzionale.
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