da: http://www.rassegna.it/ -
di Agnese Palma
Alla
virtualità della valuta siamo abituati da molto tempo. E infatti le novità di
questo nuovo fenomeno finanziario sono altre: non sono emesse da alcuno Stato,
né da Banche centrali. L’unica legge che determina la loro quotazione è quella
di mercato
La radice del nome criptos (κρυπτός =
nascosto, coperto) evidenzia la natura oscura di questo nuovo fenomeno finanziario
in vertiginosa crescita. Opaco a partire dal meccanismo di coniazione, che si
basa su algoritmi complessi, una sorta di esoterismo tecnologico comprensibile
a pochi eletti. Come se ciò non bastasse, il possesso e la compravendita di
criptovalute avviene nell’anonimato.
Una definizione standard di valuta dice che
essa è “la moneta in circolazione e i titoli fiduciari che la rappresentano”,
oppure “uno strumento per facilitare lo scambio di beni e servizi in una
determinata area geografica”. Alla sua smaterializzazione dalla forma di monete
metalliche o banconote a moneta scritturale siamo già abituati da molto tempo:
a partire dagli antichi “pagherò” fino ad assegni, bonifici, righe di saldo in
un conto corrente, carte plastificate. Tra non molto sarà sufficiente uno
smartphone per lo scambio di beni e servizi, anche al di fuori della nazione di
emissione.
La virtualità delle criptovalute non è
quindi una novità. Inedite sono, piuttosto, altre caratteristiche: nessuna
Banca centrale le emette e ne controlla il corso; non sono emesse da alcuno
Stato o federazione di Stati e, di conseguenza, non ne rappresentano, seppure
nel modo fittizio cui ci hanno abituato gli artifici del capitalismo, il valore
della sua produzione nazionale o la potenza militare nello scacchiere
internazionale. L’unica legge che determina la quotazione delle criptovalute è
la legge di mercato della domanda e dell’offerta. Per questa caratteristica
vengono esaltate dagli ultraliberisti, ma godono di qualche simpatia anche a
sinistra, perché si sottraggono (apparentemente) al giogo coercitivo delle
banche e degli Stati.
Non solo. Alcune criptovalute nascono per
scopi sociali e di beneficenza, come AidCoin, creata da CharityStars. Senza
contare che, nel campo della raccolta fondi, le valute elettroniche potrebbero
garantire trasparenza nella raccolta e rapidità nell’utilizzo dei fondi come
mai accaduto prima, tramite l’utilizzo del protocollo Blockchain e degli Smart
Contract. Nei Paesi poveri iniziano a essere usate per finanziare microcredito,
oppure per aggirare il blocco finanziario, come ha annunciato il presidente
venezuelano Maduro con la criptovaluta nazionale Petro.
Per capire l’impatto che potrebbero avere
sull’economia reale dei prossimi anni, è necessario conoscerne almeno per sommi
capi l’origine e il funzionamento. Bitcoin, la prima e più famosa criptovaluta,
è nata nel 2009 da un ignoto creatore sotto lo pseudonimo di Satoshi Nakamoto.
Fu stabilita all’origine anche la quantità massima di Bitcoin coniati, per
scongiurare l’inflazione: 21 milioni, e a oggi ne sono stati coniati i tre
quarti. Altre criptovalute nate successivamente non hanno alcun limite di
coniazione. Teoricamente ognuno di noi con il proprio Pc potrebbe coniare una
criptovaluta, ma nella realtà occorre una grande potenza di calcolo per
elaborare i complessi e misteriosi algoritmi che ne determinano l’estrazione
(mining).
Per acquistare e conservare criptovalute si
deve aprire un portafoglio elettronico (wallet web, software o hardware). La
sicurezza delle transazioni è garantita dalle chiavi crittografiche, una
privata dell’utente e una pubblica verificata dalla rete. Un sistema di
verifiche multiple degli utenti valida la transazione; tutte le transazioni,
dalla nascita di Bitcoin in poi, sono scritte nei nodi di un database
distribuito, la Blockchain (letteralmente catena di blocchi), e questo
garantisce la storia e la sicurezza delle transazioni stesse. Possiamo
immaginare la Blockchain come un grande Libro Mastro scritto sulla rete, un
registro pubblico, un protocollo di certificazione di identità digitale che si
sta affermando anche in altri ambiti, per esempio proprio nelle banche e
assicurazioni. Queste ultime sono interessate a tutta la tecnologia che sta
dietro il mondo delle criptovalute, non solo Blockchain (anche Ethereum e Smart
Contract), e ne stanno studiando l’applicazione.
Decentralizzato e a partecipazione
pubblica, il protocollo Blockchain è trasparente e democratico. Inizialmente
pensato per essere gratuito, nel meccanismo di fatto sono state introdotte
delle commissioni per velocizzare il processo di validazione delle transazioni.
In meno di dieci anni, sono nate decine e decine di criptovalute, tanto che i
siti web stilano una hit parade delle top 10 o top 20, una bolla in continua
espansione che nel 2017 ha superato i 200 miliardi di dollari. Proprio sulla
velocità di transazione degli scambi potrebbe giocarsi il destino di quelle che
resteranno in vita nei prossimi anni.
Possiamo considerarle un nuovo mezzo di
pagamento o una speculazione finanziaria? Pur chiamandosi monete virtuali,
finora la diffusione e l’utilizzo preponderante può assimilarsi maggiormente a
una speculazione alimentata dai lauti guadagni dati dalla crescita del cambio
con le valute reali. Bitcoin nel 2017 ha avuto un incremento del 1.500%,
l’astro nascente Ripple del 36.018%. Alti guadagni, ma anche alti rischi, a
cominciare da quelli dovuti all’esposizione a virus e truffe informatiche, a
eventuali perdite accidentali del portafoglio virtuale, alla totale assenza di
regole.
Oggi il controllo dell’affidabilità degli
operatori e il controllo delle truffe è nelle mani dell’accortezza del cliente.
Le Ico (Initial coin offering) con cui si possono finanziare le startup
comprando criptovalute sono terreno fertile per le truffe. La Cina le ha
vietate e sta adottando misure per controllare gli scambi in criptovalute a
tutela dello yuan, pur avendone coniata una made in China (Neo). Analogo blocco
a tutela del rublo è stato messo dal governo russo. E tuttavia la criptovaluta si
sta affermando anche come mezzo di pagamento, sebbene la lentezza delle
verifiche Blockchain e la volatilità delle quotazioni, al momento ne ostacolino
una rapida diffusione (www.coinmap.org è la mappa di chi accetta i pagamenti in
criptovalute).
Ma qual è, sull’intricata vicenda fin qui
descritta, la posizione del sindacato? Per la Fisac Cgil, che auspica
l’abolizione o quanto meno la drastica riduzione dell’uso del contante come
fattore anticorruzione e antievasione, le criptovalute, in qualità di moneta
elettronica, possono assolvere a questo compito? Il fatto è che, in assenza di
qualsiasi regolamentazione e garantite dall’anonimato, le criptovalute oggi
rappresentano potenzialmente un diffuso paradiso fiscale su web e una ghiotta
occasione di riciclaggio. Negli Usa è allo studio un disegno di legge per
bloccare l’evasione fiscale e imporre l’antiriciclaggio anche alle
criptovalute, mentre si stanno sviluppando dei software per stanare gli
evasori.
E in Italia? Nel nostro Paese nel 2015 la
Polizia postale ha sequestrato migliaia di portafogli elettronici utilizzati
per riciclare proventi da traffico di armi, droghe e altri illeciti. Tramite
prestanome, su piattaforme sicure come PayPal e con carte prepagate, possono
essere trasferiti fondi e acquistate criptovalute, rivendute poi in pacchetti,
riciclando in poche ore migliaia di euro. Per contro, la Bitcoin Foundation
Italia replica che in realtà si sta creando un allarme mediatico non avvalorato
dai dati, peraltro molto difficili da reperire. Secondo Bfi a venir garantito è
lo pseudoanonimato e non l’anonimato, mentre è possibile risalire al possessore
reale anche tramite software specializzati. Sta di fatto che a fine 2016
nessuna indagine della magistratura italiana è stata in grado di rintracciare
chi si nasconde dietro gli intermediari del riciclaggio virtuale. Quel che è
certo è che c’è molto da fare, e che non può essere fatto con i tempi del
secolo scorso, sia in termini di adeguamento da parte del legislatore che di
controllo da parte degli enti preposti (operatori finanziari, banche, Banca
d’Italia).
Perché la verità è che questa bolla che sta
gonfiandosi, totalmente slegata da produzione e merci, fuori controllo,
generata da algoritmi, ci riguarda, perché nelle crisi chi paga di più non è
l’oligarchia che l’ha provocata, ma sono gli ultimi, i meno abbienti, la classe
dei lavoratori. E mentre le valute a corso legale stanno svalutandosi in
rapporto alle criptovalute, mentre queste ultime stanno affermandosi come la
maggiore valuta internazionale nelle capitalizzazioni del mercato, è
impossibile per le Banche centrali, oltre che per quelle d’affari, restare
fuori dal gioco. Ma si tratta di un gioco pericoloso, in quanto in grado di
mettere in crisi la sovranità monetaria degli Stati, sostituita da una moneta
speculativa in mano a privati, e con la quantità di circolante fuori controllo.
Un potenziale fattore di destabilizzazione molto preoccupante, che lascia le
redini dell’economia a quelle “acciarpature monetarie” da cui Marx ci metteva
in guardia.
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