da: Il Fatto Quotidiano
Secondo
fonti Anci "gli eventuali errori su determinate tariffe non hanno prodotto
nessuna maggiore entrata" per i Comuni. Di conseguenza "la correzione
comporterà necessariamente la rimodulazione delle tariffe sulla generalità dei
contribuenti per garantire la corrispondenza tra entrata e costi del
servizio". Colpiti anche magazzini e uffici. Ecco cosa si può fare e come
di Fiorina
Capozzi
Il Comune sbaglia a calcolare la tassa sui
rifiuti (Tari), il governo ne prende atto e i cittadini e le imprese ne fanno
le spese con ipotesi di rimborsi e conguagli ancora tutti da definire. Per chi,
poi, ha rottamato le cartelle esattoriali per mettersi in regola, oltre al
danno, c’è anche la beffa: praticamente impossibile recuperare i soldi della
Tari “gonfiata”. Di che cifre stiamo parlando? “Fra i 100 e i mille euro”,
secondo una stima dell’avvocato tributarista Franco Muratori. Ma ogni comune è
una storia a sé, tutta da ricalcolare. “A questo punto ci auguriamo solo che
non ci siano colpi di spugna che esentino le amministrazioni dai rimborsi ai cittadini
che hanno pagato di più”, precisa l’avvocato Carmelo Calì della
Confconsumatori, che assieme alle altre associazioni dei consumatori, si
prepara a dar battaglia per tutelare chi ha versato nelle casse pubbliche più
del dovuto. Al momento non è ancora chiaro quanti e quali siano i comuni
coinvolti nell’errore di calcolo della quota variabile della Tari, ma è certo che la questione rischia di generare una grande confusione nelle amministrazioni. Soprattutto in quelle come Firenze, Bologna, Cagliari o Genova che in questo scorcio di fine anno si apprestano a riscuotere una delle ultime rate della tassa con cui gli enti locali finanziano il servizio di nettezza urbana.
coinvolti nell’errore di calcolo della quota variabile della Tari, ma è certo che la questione rischia di generare una grande confusione nelle amministrazioni. Soprattutto in quelle come Firenze, Bologna, Cagliari o Genova che in questo scorcio di fine anno si apprestano a riscuotere una delle ultime rate della tassa con cui gli enti locali finanziano il servizio di nettezza urbana.
La questione è spinosa e risale al 2014,
anno di nascita della Tari. Il legislatore ha definito la tassa con una parte
fissa computata in euro al metro quadrato e una variabile in funzione del
numero di persone che compongono il nucleo familiare. Il calcolo della parte
variabile avrebbe dovuto basarsi sui chili di rifiuti indifferenziati annui
conferiti. Per far questo le municipalizzate avrebbero dovuto “pesare” i
rifiuti indifferenziati e trasferire i dati al comune che avrebbe dovuto
premiare i cittadini virtuosi. Un’operazione complessa che raramente è stata
poi realmente realizzata. Spesso invece è accaduto che il calcolo della parte
variabile della Tari sia stato effettuato tenendo conto solo del numero di
componenti del nucleo familiare senza un “peso” reale di rifiuti
indifferenziati a persona. A questa soluzione-tampone poi, in diversi comuni
italiani, fra cui anche Milano, si è aggiunto un calcolo “creativo” imputato
alla quota variabile. Lo spiega il Tesoro in risposta all’interrogazione
parlamentare presentata dal deputato del Movimento 5 Stelle Giuseppe L’Abbate
che ha spiegato a ilfattoquotidiano.it come “alcuni enti locali hanno
liberamente interpretato la norma per la parte che concerne la quota variabile
della Tari computandola sia per l’appartamento che per le pertinenze come
garage, cantine e soffitte”.
Il risultato di questa operazione è che in
alcuni casi la parte variabile della tassa è stata applicata due o più volte:
una per la casa e una per ogni pertinenza annessa. Per intenderci, si può fare
il caso di un’abitazione da 100 metri quadrati per 4 persone con una garage da
15 metri e una cantina da 10 per una superficie totale di 125 metri quadrati.
Con una quota fissa da 2 euro al metro quadrato, l’imposta fissa sarebbe pari a
250 euro cui andrebbero aggiunti 141 euro di variabile. Nel calcolo
illegittimo, restano 250 euro di quota fissa. Ma la quota variabile di 141 euro
viene moltiplicata per tre. Nel primo caso la tassa correttamente calcolata
ammonta a 391 euro. Quella invece con il conteggio sbagliato ammonta a 673
euro, il 72% in più. Ma, come spiegano i tecnici del Tesoro, “la parte
variabile, invece, dipende dai quantitativi di rifiuti prodotti dalla singola
utenza” e non dal numero di pertinenze. Il comune dovrebbe quindi applicarla
solo dopo un calcolo sull’ammontare di rifiuti effettivamente prodotti dai contribuenti.
Per i tecnici del ministero, infatti, “la parte variabile va considerata una
sola volta e, di conseguenza, un diverso modus operandi da parte dei comuni non
trova alcun supporto normativo”.
Le conseguenze sono rilevanti soprattutto
per le seconde case, che magari sono utilizzate solo pochi mesi l’anno e che
per questa ragione beneficiano talvolta di “sconti” sulla Tari. Inoltre, il
principio vale anche per imprese, magazzini e uffici. Generalmente impianti e
negozi di artigiani smaltiscono autonomamente i loro “rifiuti” speciali con un
servizio ad hoc pagato a parte. Nella Tari però vanno i rifiuti assimilati a
quelli urbani con un confine non ben definito. Sulla questione avrebbe dovuto
esprimersi il ministero dell’ambiente che ha sul tavolo un decreto per
risolvere la questione esonerando dalla Tari grandi magazzini (oltre 400 metri
quadrati) e attività commerciali di dimensioni importanti (“superiori ai 250
metri quadrati”). Ma ad oggi il provvedimento non è stato ancora firmato.
A questo punto, “dopo il chiarimento del
Tesoro, i comuni che hanno gonfiato la Tari dovranno restituire quanto
percepito di più”, riprende l’avvocato di Confconsumatori che invita i
cittadini a rivolgersi alle associazioni dei consumatori per ottenere i
rimborsi. Prima però occorrerà verificare se effettivamente esiste nell’avviso
di pagamento del comune una parte variabile di Tari. Non è sempre facile capire
se la tariffa è stata applicata correttamente. Innanzitutto bisognerà avere
chiaro il calcolo applicato dall’amministrazione indicato nel regolamento
comunale. Solo successivamente si potranno rifare i conti magari con l’aiuto di
un simulatore di calcolo. Nel caso esista un errore, allora il contribuente ha
cinque anni per agire e recuperare le somme versate in più (Tarsu esclusa). Non
servono moduli predefiniti, né è necessario presentare istanze diverse per anni
diversi o necessariamente rivolgersi ad un esperto: basterà un’istanza libera
con tutti i dati necessari a testimoniare l’importo pagato e la differenza da restituire.
Non sempre però si potrà facilmente ottenere il rimborso: se la bolletta
“gonfiata” è stata pagata a seguito di accertamento e quindi anche con la
recente rottamazione delle cartelle esattoriali, le speranze indietro i soldi
si riducono al lumicino. “L’unica strada da percorrere è l’autotutela – rileva
l’avvocato Muratori – ma in genere le richieste di questo tipo all’ente
interessato non hanno alcun seguito”.
Intanto il contribuente che ha versato in
più potrà chiederne conto al Comune che ha novanta giorni per rispondere. Se
l’amministrazione non dovesse fornire chiarimenti nel tempo massimo indicato,
si potrà impugnare l’avviso di pagamento davanti alla Commissione tributaria
provinciale nel giro di sessanta giorni dalla notifica dell’avviso. Inoltre
sarà possibile chiedere anche il rimborso per gli anni antecedenti in cui pure
emerga lo stesso errore sulla quota variabile. In alternativa, è possibile
anche impugnare davanti al Tar il regolamento comunale, ma il procedimento
rischia di essere più costoso. Per il futuro, c’è invece solo da auspicare che
la Tari venga applicata nei termini di legge, cioè come un’imposta che
regredisce per i cittadini virtuosi. “A Roma è difficile perché la città è
grande, ma nei piccoli centri i rifiuti possono essere pesati e i comuni, se
vogliono, sono in condizioni di applicare la legge”, riprende l’onorevole
L’Abbate che sulla vicenda si è scontrato anche con Domenico Vitto, sindaco del
suo comune di residenza, Polignano a Mare, nonché responsabile Anci in Puglia.
“Ne ho parlato con lui. Mi ha risposto che non c’era nulla che non andava nel
calcolo della Tari”, conclude L’Abbate.
A questo punto, non resta che chiedersi
quale impatto avrà l’intera questione sui conti dei comuni che hanno sbagliato
a fare i calcoli. Tecnicamente, come spiega l’Associazione nazionale comuni
(Anci), la Tari “è un’entrata interamente destinata a coprire il costo del
servizio rifiuti e nessuna quota del tributo può essere utilizzata per altri
fini”. Gli eventuali errori su
determinate tariffe “non hanno quindi prodotto nessuna maggiore entrata per il
comune – spiegano fonti ufficiali dell’associazione presieduta da Antonio
Decaro – La correzione di tali errori comporterà necessariamente la
rimodulazione delle tariffe sulla generalità dei contribuenti per garantire la
corrispondenza tra entrata e costi del servizio. Non si può quindi parlare di
incassi gonfiati ad arte per finanziare altre funzioni comunali, perché, anche
a non voler credere alla buona fede degli amministratori, la legge non dà alcun
margine per il Comune su queste risorse”.
Detta in altri termini, se qualcuno ha
pagato troppo, dovrà essere rimborsato. Chi, invece, ha pagato meno dovrà
contribuire di più secondo nuovi calcoli che dovrà fare l’ente. Nulla esclude
però che possano anche emergere dei buchi in bilancio per gli enti. Dal computo
della Tari, resteranno comunque fuori eventuali interessi e danni che le
associazioni dei consumatori hanno tutta l’intenzione di chiedere alla pubblica
amministrazione. Il risultato è che il saldo dell’errore non sarà zero per le
casse pubbliche. A meno che non intervenga il legislatore a metterci una pezza
a colori.
Nessun commento:
Posta un commento