“Mancano
le testate di Roberto Spada, certo. Ma per il resto c’è tutto e di più”
da: http://www.linkiesta.it/it/
Non
solo Ostia: ecco tutta la mafia che prospera dove non te l’aspetti
Da
Brescello a Lavagna, anche il nord Italia ha i suoi clan e i suoi feudi
mafiosi, capaci di prosperare per decenni a causa di paura e omertà. Un monito
a tenere la guardia alta, sempre: perché non ci si mette niente a diventare
come il municipio romano. E può succedere a tutti
di Francesco
Cancellato
Zone franche, le ha chiamate il ministro
Minniti. Territori perduti dove regna l’Antistato – mafia, se preferite - nelle
sue numerose propaggini. Non solo Sicilia, Calabria, Campania e Puglia, e
nemmeno solo Ostia, assurta alle cronache nei giorni scorsi a causa della testata
di Roberto Spada al giornalista Daniele Piervincenzi. Una testata che ha
riportato alla luce lo strapotere dei
clan sul litorale romano, raccontato per anni da una collega coraggiosa come
Federica Angeli, nel disinteresse del resto di quasi tutti.
E allora proviamoci, già che ci siamo, ad
alzare lo sguardo. Scopriremmo, ad esempio, che nel centro nord, tra il
2005 e il 2014 ci sono state 120 operazioni di polizia, più o meno una al
mese, che hanno portato alla condanna di
1567 boss mafiosi. Che uno ogni
quattro tra loro faceva l’imprenditore, o l’amministratore di controllo di
una realtà imprenditoriale.
Che nel solo Lazio sono state confiscate ben 380
aziende, 276 in Lombardia, 49 in Emilia – Romagna, 31 in Piemonte, 22 in
Toscana, 17 in Liguria, 6 in Veneto.
Ad alcune delle realtà infettate dal virus
mafioso è toccato pure in sorte lo scioglimento
del Comune, a causa di infiltrazioni. È il caso, paradigmatico e seminale, di Bardonecchia, nel 1995, terra di
confino in cui Rocco Lo Presti, affiliato alla ndrangheta, ha dato vita a un
sodalizio mafioso – un locale, in gergo – che ha prosperato per decenni tra
strozzinaggio, voti di scambio, intimidazioni, aggressioni e lo strapotere nel
settore dell’edilizia.
Un’onta, questa, che è toccata anche ai
comuni di Ventimiglia, Bordighera e
Lavagna, in Liguria, a Leini e
Rivarolo Calabrese, in Piemonte, a Sedriano in Lombardia, a Brescello in Emilia
– Romagna. Tutte terre apparentemente immuni da qualsivoglia infiltrazione
mafiosa. Tutte terre che hanno dimostrato che non è così.
Le storie sono tutte uguali e tutte
diverse, ognuna col suo grado di paura ed omertà: a Brescello, storico teatro delle contese tra Don Camillo e Peppone, comanda ad esempio il boss Francesco Grande Aracri, che il sindaco Marcello Coffrini, nel 2014 definisce come uno «molto
composto, educato, che ha sempre vissuto a basso livello», mentre il padre e
predecessore Ermes si scaglia contro un barista che aveva denunciato il pizzo,
minacciandogli di levargli la licenza. Brescello, Reggio Emilia.
Uguale a Lavagna, porto della riviera di Levante, nei pressi della più
famosa Santa Margherita Ligure, dove – sono parole della Cassazione
- è stata dimostrata "l'esistenza di trent'anni di criminalità
organizzata che ha contaminato la politica, diventando malaffare, corruzione,
gestione mafiosa degli appalti, dei rifiuti, della droga, fino all'usura, alle
estorsioni". Uguale in Piemonte,
tra Leini e Rivarolo Piemontese,
dove l’8 giugno del 2011 sono finite al fresco ben 142 persone, indagate – e
poi condannate - per associazione a delinquere di stampo mafioso dediti al
traffico di droga, al controllo di bische clandestine, alle estorsioni.
Mancano
le testate di Roberto Spada, certo. Ma per il resto c’è tutto e di più, ed
è pure peggio di quanto accade sul litorale romano. Perché al Nord la mafia si sa comportare bene, almeno all’apparenza. E
perché si nasconde sotto una coltre di
civismo e benessere. Ma esiste e comanda, eccome. Ricordiamocene, quando
puntiamo dito e sguardi su Ostia. E pure dopo.
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