domenica 26 gennaio 2020

Luca Ricolfi: La società signorile di massa / 5



3. Surplus e consumo opulento
Condizione 2: la condizione signorile, ovvero l’accesso a consumi opulenti da parte di cittadini che non lavorano, diventa di massa.
Più complessa, e certamente più arbitraria, è la specificazione della seconda condizione. Essa tuttavia è cruciale. Per parlare di consumo signorile occorre infatti non solo che il surplus consumato senza erogare alcun lavoro riguardi almeno metà della popolazione, ma che per una parte non trascurabile tale consumo sia cospicuo, ovvero capace di soddisfare esigenze che, tipicamente, in passato solo i “signori” potevano permettersi.
Se fossimo ancora negli anni sessanta, ne segnalerei almeno una quindicina: le cure mediche, l’istruzione, un’alimentazione completa (non solo la domenica), la luce elettrica, l’acqua potabile, i servizi igienici in casa, il telefono, gli elettrodomestici, l’abitazione di proprietà, l’automobile, la villeggiatura, i viaggi di piacere, il cinema, la fruizione della cultura. Si tratta di conquiste che ora ci appaiono naturali o scontate ma che in Italia, anche solo una cinquantina di anni fa, all’apice del miracolo economico (1963), non lo erano affatto, perché coinvolgevano solo una minoranza della popolazione, l’élite dei borghesi e – appunto – dei “signori”. Ancora nel 1961, anno del secondo censimento dopo la fine della guerra e in pieno boom economico, le famiglie che vivono in abitazioni dotate di elettricità, acqua corrente e bagno sono appena il 28%. Quelle che sono proprietarie della casa in cui abitano sono meno del 50%, e così quelle che hanno un televisore in casa. Quelle che possono permettersi un breve periodo di ferie sono appena il 15%. Quanto all’automobile, sono meno del 7% gli italiani che ne posseggono una.
Ora però non siamo negli anni sessanta del Novecento. Che cos’è qualificabile come cospicuo oggi? Quali sono i consumi che possiamo definire opulenti ora che quasi tutti hanno la TV, gli elettrodomestici, il bagno in casa? Qual è la soglia che permette di affermare che il livello, e il grado di diffusione, del benessere di una società autorizza a qualificarla come opulenta?
Una possibile risposta è che la soglia è quella che fa sì che diversi e significativi beni voluttuari, o decisamente di lusso, siano posseduti o fruiti da oltre la metà dei cittadini italiani.
Questo passaggio fondamentale non avviene con il miracolo economico (1958-1963), che si limita a sancire l’uscita delle masse popolari dalla povertà, grazie all’accesso a beni e servizi per così dire “basici” (dal cibo all’acqua potabile in casa), e la conquista da parte di una minoranza degli italiani dei primi segni tangibili del benessere, come elettrodomestici, automobile, vacanze.
La transizione verso una società opulenta avviene solo tra gli anni ottanta e i primi anni duemila, coinvolge essenzialmente i ceti medi, e riguarda beni che, visti con gli occhi di chi era adulto ai tempi dell’austerità (quella degli anni settanta) sono beni voluttuari, o di lusso, talora persino frivoli, segnali inequivocabili di una società arrivata.
Come sociologo, la descriverei così. Non l’auto, ma la seconda auto, magari personalizzata con una serie di optional. Non la casa, ma la seconda casa, possibilmente al mare o in montagna. Non la bici o il pallone, sport popolari ed economici, ma le costose attrezzature da sub o da sci. Non le solite vacanze di agosto presso i parenti, ma weekend lunghi e ripetuti (d’inverno ai monti, d’estate al mare) e, per le ferie (non solo quelle di agosto), pacchetti all-inclusive, per isole e paradisi più o meno esotici. Non la vecchia TVpubblica in bianco e nero, ma il variopinto mondo delle TV a colori, commerciali e non, satellitari e digitali terrestri, con i loro abbonamenti al calcio, ai film e alle serie TV.
E ancora. Non la scuola sotto casa per i figli, ma i corsi di lingue e judo, l’ora di sport, le lezioni private, gli infiniti scarrozzamenti dei pargoli fra un’attività e l’altra, in un turbine di baby-sitter, colf, pedagoghi domestici. Non i vecchi cibi di sempre, magari un po’ più abbondanti, ma il multiforme mondo dei cibi alternativi, macrobiotici, vegetariani, new age, vegani, biologici, esotici, etnici, equi e solidali. Non la banale serata in pizzeria, ma i lunghi apericena preparatori di vagabondaggi notturni. Non il medico per le ordinarie malattie del corpo, ma lo sterminato esercito dei medici alternativi, o dell’anima: psicanalisti, psicoterapeuti, guide spirituali, guru, santoni, massaggiatori, osteopati, chiropratici, e infine – ultima moda – il business degli allenatori personali, coach e personal trainer. Per non parlare dell’irrompere, a partire dagli anni novanta, dei consumi tecnologici: TV satellitare, impianti HI-FI, telecamere digitali, registratori portatili, agende elettroniche, iPod, iPad, computer di ogni genere e foggia, telefonini, videofonini, megaschermi ultrapiatti, insomma un vero e proprio arsenale di cui pare non si possa proprio fare a meno per “stare al passo con i tempi”.
Ma la fenomenologia di questa “seconda transizione” consumistica, che completa e amplia la prima (quella del miracolo economico), non è ancora una definizione statistica. Non basta a individuare in termini precisi la seconda condizione che autorizza a parlare di società signorile di massa, ossia l’accesso della maggior parte dei cittadini italiani a consumi opulenti. Per specificare tale condizione dobbiamo fissare un livello-soglia dei consumi non necessari.
Ed ecco allora una possibile definizione statistica: nella popolazione nativa il surplus, ossia il consumo che eccede i bisogni essenziali, supera il triplo del livello di sussistenza.
Ovvero: il consumo medio supera il quadruplo del livello di sussistenza.
Dove, precisazione importante, per livello di sussistenza non intendiamo un livello fisso o assoluto, bensì quello che storicamente si è affermato nelle varie epoche, e che è cresciuto costantemente dal 1951 a oggi (oggi il livello di sussistenza per una famiglia di due persone è di circa 12.000 euro l’anno, oltre il doppio di quanto era nel 1951).
Perché proprio questa soglia?
La ragione è relativamente semplice: un’analisi empirica della storia economica del nostro paese mostra che questo, di fatto, è il livello superato il quale la fenomenologia descritta sopra, che abbiamo chiamato seconda transizione consumistica, si completa e si generalizza, e alcuni beni e consumi pregiati, fino a pochi decenni prima riservati a un’élite, risultano tutti goduti da più di metà dei cittadini italiani.
Ma quali beni pregiati?
Lasciando perdere i beni a larghissima diffusione, quali bagno in casa, elettrodomestici, televisore, tutti beni che erano ancora di élite durante il miracolo economico, ma già dieci anni dopo sarebbero stati percepiti come irrinunciabili, e lasciando pure da parte i beni che in passato semplicemente non esistevano, come i beni ipertecnologici, mi sembra che una lista minimale possa includere: la casa di proprietà, l’automobile, le vacanze lunghe. In tutti e tre i casi si tratta di beni ambiti, il cui costo supera – largamente o molto largamente – l’importo di uno stipendio mensile, e che proprio per questo sono stati a lungo privilegio dei “signori”.
Ebbene, se ci chiediamo qual è il rapporto fra surplus e consumo di sussistenza oltrepassato il quale i nostri tre beni pregiati sono divenuti tutti e tre accessibili a più di metà dei cittadini italiani, la risposta è: intorno a 3. Ossia: è solo quando il surplus appropriato dai cittadini italiani ha superato il triplo del reddito di sussistenza che l’accesso ai nostri tre beni pregiati è diventato maggioritario.
Più esattamente, perché si generalizzasse la proprietà della casa è stato necessario superare il livello 2, per quella dell’automobile il livello 2.5, per le vacanze lunghe, infine, il livello 3.
Fra i cittadini italiani, la casa di proprietà è diventata un bene di massa nei primi anni settanta, l’automobile alla fine degli anni ottanta, le vacanze (brevi e lunghe) nei primi anni duemila. Oggi casa di proprietà e automobile, fra le famiglie italiane, hanno un livello di diffusione prossimo all’80%, mentre le vacanze si collocano nei pressi del 65%. È ragionevole ipotizzare che ad accedere a tutti e tre questi beni – casa di proprietà, automobile, vacanze lunghe – sia più della metà delle famiglie di cittadini italiani.
Ma attenzione. Con questo non vogliamo dire che disporre prevalentemente di questi tre beni di per sé definisca la condizione signorile, ma solo che – come vedremo in dettaglio nel prossimo capitolo – l’accesso di massa a tali beni:
(1) è avvenuto quando (nei primi anni duemila) il rapporto fra surplus e consumo di sussistenza ha superato il livello 3;
(2) di fatto si è accompagnato a un’imponente espansione di consumi e modi di vita che, considerati nel loro insieme, possiamo definire opulenti.
Ed ecco il punto. Dal momento che a lavorare è una minoranza dei cittadini italiani, e la maggioranza che non lavora, quasi sempre, è legata a quella che lavora attraverso le relazioni familiari di coniuge, figlio, genitore, ecco che siamo in presenza del tratto distintivo della società signorile: l’appropriazione di una porzione significativa del surplus da parte di chi non lavora. Con un’importante qualificazione: ora i signori sono più numerosi dei produttori.

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