sabato 18 gennaio 2020

Massimo Gramellini: Rayn Pourjam ricorda suo padre morto nell’incidente aereo iraniano



Diceva mi padre

Ryan Pourjam è un ragazzino canadese che ha parlato di suo padre come ogni padre, e in genere ogni adulto, vorrebbe che un ragazzino parlasse di lui. Il padre di Ryan si chiamava Mansour ed era tra i 176 passeggeri dell’aereo che due missili degli ayatollah hanno spedito per sbaglio all’altro mondo. Possiamo solo immaginare i sentimenti di un adolescente verso chi ti ha scippato il padre in modo tanto infame. Quando Ryan ha iniziato a parlare all’università di Ottawa, qualunque parola orribile fosse uscita dalle sue labbra sarebbe apparsa giustificata. Invece ne ha pronunciata una sola: forte. Questo era mio padre, ha detto. Forte e positivo, nonostante nella vita avesse attraversato muri e tragedie: se fosse morto un altro al suo posto, adesso lui non parlerebbe delle cose negative e quindi non lo farò nemmeno io. Mi sembra di stare dentro un brutto sogno, ha aggiunto Ryan, inghiottendo un sospiro. Ma so, ha concluso, che se adesso mi svegliassi da quel sogno, papà mi direbbe «Andrà tutto bene» e così sarà.

Che discorso da brividi. Il dolore è sempre un momento di svolta: puoi rimuoverlo, o provare a nasconderlo sotto l’odio per chi te lo ha procurato. Ma puoi anche attraversarlo, ed è stata la scelta di Ryan, suggeritagli dal padre con il suo esempio. I ragazzini ci ascoltano, persino
quando a noi sembra che non lo facciano. Ed è ciò che sentono, non solo con le orecchie, l’unica eredità che riusciamo a trasmettere.

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