sabato 18 gennaio 2020

Il privilegio ingiustificato a cui la politica non vuole rinunciare: la doppia pensione, pagata dai cittadini


da: https://it.businessinsider.com/ - di Giuliano Balestreri

La riforma delle pensioni colpisce tutti gli italiani, ma non sfiora neppure i parlamentari – e con loro tutti gli ex dipendenti eletti a qualunque carica pubblica. E così, mentre i lavoratori sono costretti a fare quadrare i conti tra una vita lavorativa che si allunga, un assegno pensionistico che si fa più leggero e la necessità di investire in qualche forma di previdenza integrativa; gli eletti si tengono stretto il privilegio della doppia pensione a carico della collettività.

Tra le tante storture in salsa italiana c’è, infatti, il privilegio dei dipendenti eletti a carica pubblica che in aspettativa non retribuita possono farsi versare dall’Inps i contributi figurativi: un’operazione interamente a carico delle casse dello stato che costa diverse decine di milioni di euro, oltre 40 milioni nell’arco di una legislatura. “L’Inps – ha scritto su Repubblica Tito Boeri, ex presidente dell’Istituto di Previdenza – è oggi tenuto ad accreditare contributi figurativi ai parlamentari che ne facciano richiesta durante il loro mandato”.

Di privilegio si tratta perché solo grazie a una legge del 1977, i vitalizi dei parlamentari non sono considerate una gestione previdenziale. Una norma in totale contraddizione con i regolamenti della Camera nei quali si parla chiaramente di “trattamenti previdenziali”. Senza questa leggina di poche righe varata durante uno dei tanti governi Andreotti e promulgata dall’allora presidente della Repubblica, Giovanni Leone, i vitalizi sarebbero stati correttamente equiparati a una pensione e in base all’articolo 31 dello Statuto del Lavoratori gli eletti non avrebbero potuto accumulare contributi figurativi.


Tale diritto, infatti, si applica a favore dei lavoratori per i quali non “siano previste forme previdenziali per il trattamento di pensione e per malattia, in relazione all’attività espletata durante il periodo di aspettativa”. Tradotto: se l’occupazione per la quale si ottiene l’aspettativa garantisce comunque un trattamento previdenziale viene a cadere il diritto all’integrazione – tramite gli oneri figurativi – del trattamento previdenziale precedente.

Motivo per cui la contribuzione figurativa è riconosciuta solo a periodi di servizio militare; malattia e infortunio; assenza dal lavoro per donazione sangue; congedo maternità e parentale;  durante il rapporto di lavoro (ex astensione obbligatoria per gravidanza e puerperio); assenze dal lavoro per malattia del bambino; congedo per gravi motivi familiari; permesso retribuito ai sensi della Legge 104/92 (handicap grave); congedo straordinario ai sensi della Legge 388/2000 (handicap grave).

Quale sia l’analogia tra una carica elettiva e le situazioni sopra elencate è un mistero: di certo i parlamentari sono profumatamente retribuiti e contano su ricche pensioni, mentre tutti gli altri si staccano dal lavoro per una situazione di bisogno non remunerata. Addirittura, fino al 2000, l’Inps non solo versava la quota figurativa a carico del datore di lavoro, ma anche quella spettante all’onorevole. Oggi, i parlamentari devono – quanto meno – pagare la loro parte (circa un terzo dalla contribuzione).

Fino a quando è stato a capo dell’Inps, Boeri ha sollevato il problema sia di fronte alla commissione Affari costituzionali della Camera sia al presidente della Camera, Roberto Fico: le sue lettere sono rimaste nel cassetto, proprio come quelle con le quali chiedeva di rivedere il metodo di calcolo delle pensioni dei sindacalisti (altra categoria protetta dalla politica).

L’attribuzione dei contributi figurativi non è ovviamente obbligatoria, ma chi può non si lascia scappare l’occasione: da destra a sinistra, passando per i 5 Stelle. La difesa di questo privilegio che non ha ragione di esistere è questione di larghe intese, così come il diritto alla privacy e così l’Inps non può fornire il nome dei parlamentari che ne hanno fatto richiesta.

Tradotto: gli eletti a qualunque carica pubblica in aspettativa da un lavoro dipendente, maturano a spese dello stato lo stesso diritto alle pensione dei loro ex colleghi rimasti in azienda. Con la differenza che la cumulano con quella da parlamentare e al lauto stipendio. Un privilegio che difendono con i denti.

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