da: http://gilioli.blogautore.espresso.repubblica.it/
Dio
acceca quelli che vuole perdere
di Alessandro
Gilioli
Il Corriere della Sera, in un articolo di
una cronista politica non antirenziana, attribuisce oggi al premier uscente
l'intenzione virgolettata di andare a primarie e congresso Pd per «asfaltare le
minoranze», mentre Gentiloni sta a Palazzo Chigi a occuparsi di banche e altre
emergenze.
La metafora bituminosa, non nuovissima, si
adatta peraltro anche a quello che abbiamo visto nelle ultime ore.
Nelle quali il presidente del Consiglio
prima ha indetto una direzione del suo partito in cui ha potuto parlare solo
lui (l'unico che ha cercato di replicare, Walter Tocci, è stato accompagnato
alla porta); poi è tornato brevemente a casa per riapparire a Palazzo Chigi
indicendo consultazioni parallele a quelle del Capo dello Stato; quindi ha
mandato la delegazione del Pd al Quirinale senza il mandato di proporre alcun
nome; infine ha comunicato lui il nome che aveva deciso, con una telefonata a
un attonito Mattarella.
Il quale ormai è rimasto custode delle
regole e delle prassi tanto quanto il prevosto di una parrocchia di campagna
occupata dalle truppe di Napoleone.
Domani il Pd tornerà a riunire la sua
direzione, ma Renzi non ci andrà: discutano tra loro, se proprio ci tengono,
lui ha altre cose da fare. Anche gestire fino al voto il disastro da lui stesso
provocato gli dev'essere sembrato una diminutio, un abbassarsi eccessivo: lo
faccia un suo famiglio, incaricato di tenergli calda la poltrona fino alle
elezioni, un po' come i signori affidano la casa alla domestica mentre sono in
vacanza.
E questo sia detto senza polemica verso il
buon Gentiloni, che probabilmente mai avrebbe sognato di sedersi a Palazzo
Chigi quando è arrivato terzo su tre alle primarie del Pd romano, nel 2013,
nell'ultimo voto popolare a cui è stato sottoposto.
Non sono sicuro che al Paese, ma anche al
suo partito, faccia benissimo questo atteggiamento un filo arrogante e
autocratico: a definirlo da "caudillo" è
stato in passato un uomo pacato come Ferruccio de Bortoli, spero che questa
citazione non sia equivocabile come "un'incitazione all'odio in
politica". A me pare, ormai, semplice cronaca di verità, di cose che si
succedono sotto i nostri occhi. E viene da pensare: se il premier è in modalità
così "asfalto on" avendo perso, chissà se avesse vinto.
Ma transeat.
Adesso entrerà in carica il terzo esecutivo
di una legislatura marcia come una pera in un cassonetto.
Chiamarlo governo Renziloni è un gioco di
parole facile, ma credo difficile da smentire. Del resto non lo smentiscono
nemmeno le persone più vicine al premier uscente: né Grasso né Franceschini né
Calenda erano considerati altrettanto "leali", l'unica alternativa
presa in considerazione era Padoan che però deve stare al suo posto per
l'emergenza Mps e altro.
Non avrà vinta lunghissima, questo governo:
servirà a reggere la baracca (banche, soprattutto, ma in generale economia) e a
presentarsi con un premier sorridente ai vertici internazionali, specie il G7
di Taormina, fine maggio, il primo di Trump.
Non credo che serva invece a far sentire la
società più rappresentata nelle istituzioni: in questo senso, mi pare al
contrario un'ennesima saldatura di emergenza, e un po' raffazzonata, su una
pentola a pressione in procinto di scoppiare.
Tanto meno servirà per aprire un dibattito
all'interno del centrosinistra sull'eventualità che qualche grave errore sia
stato commesso in questi due anni e mezzo: magari sul Jobs Act, sui voucher,
sul No ideologico a qualsiasi ipotesi di reddito minimo, sulle risposte mancate
al precariato giovanile e non, sulla molecolarizzazione in un
tutti-contro-tutti quotidiano di un Paese che (parzialmente) si compatta solo
quando può sfanculare l'establishment. E sulla stessa proposta di impalcatura
istituzionale (Italicum più riforma Boschi) che si è schiantata al voto.
Peccato: sarebbe probabilmente questo
l'unico modo per non farla esplodere, la pentola a pressione di cui sopra; ma
non è nelle intenzioni, pare.
Così come - palesemente - non è nelle
intenzioni rimettere in discussione un approccio alla politica in cui lo
storytelling nuovista si mescola all'alterigia, alla presunzione, alla
superbia, all'arroganza, al bonapartismo, al non-ascolto. È una modalità
fallita, anche questa, invece viene riproposta ancora a caldo del suo
fallimento: e asfaltiamo chi non è d'accordo, dai che prepariamo un nuovo
Armageddon (le primarie, il congresso) e poi un altro ancora (le elezioni
politiche subito dopo).
Così è, Dio acceca quelli che vuole
perdere. Buon lavoro a Paolo Gentiloni.
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