da: http://www.dazebaonews.it/
- di
Roberto Bertoni
Il tratto distintivo di Marcello
Mastroianni, forse l'ultimo grande divo del cinema italiano, non è stato né il
fascino, che pure era innegabile, né la profondità di pensiero e d'analisi, che
pure gli ha permesso di essere protagonista di una quantità incredibile di
film, compresi alcuni capolavori che hanno segnato la storia del cinema
mondiale, bensì la malinconia.
Perché Mastroianni, scomparso esattamente
vent'anni fa, all'età di 72 anni, a causa di un tumore al pancreas che in due
anni se l'è letteralmente divorato, era in realtà un anti-divo e un uomo
triste, ipercritico nei confronti di se stesso, cosciente dei suoi difetti e
quasi incapace di riconoscersi i pur innegabili pregi che lo hanno reso uno
degli attori più apprezzati di sempre.
Era un uomo inconsapevolmente bello, ricercato
e amatissimo dalle donne, e dotato di un'ironia pungente e sincera ma comunque
amara, sempre intrisa di quel disincanto intellettuale che ha nei personaggi di
Gabriele in "Una giornata particolare" e di Pereira in "Sostiene
Pereira" il proprio apice.
Ed è da notare che i tre ruoli che lo hanno
reso immortale, Marcello ne "La dolce vita" e i due summenzionati, lo
abbiano visto recitare nei panni di un giornalista, come se Fellini, Scola e
infine Roberto Faenza associassero alla nostra professione quel concetto di
disincanto, di disillusione e di sguardo impietoso sulle vicende del mondo che
Mastroianni ha sublimato con interpretazioni ai limiti della perfezione,
graffianti nella loro intensità e nell'inquietudine che riescono a trasmettere,
come se a neanche quarant'anni quest'uomo che pure ha avuto fama, ricchezza e
onori preclusi alla maggior parte delle persone si sentisse pronto per il passo
d'addio, benché amasse la vita e, nell'ultimo periodo, fosse profondamente
amareggiato dal fatto di doversene andare prima del tempo.
Mastroianni, infatti, apparteneva a quella
generazione, che ormai volge all'epilogo, che ha avuto vent'anni nell'epoca
dell'abisso, che ha profondamente creduto nella possibilità di un riscatto
dell'umanità nell'immediato dopoguerra, che è stata attraversata da travolgenti
passioni, non solo politiche ma anche amorose, nel corso di una gioventù che si
accompagnava a un contesto ideale di rinascita e che, con l'andare del tempo,
invecchiando, ha progressivamente conosciuto l'amarezza dell'eterno
gattopardismo italiano, la nostra incompiutezza, la nostra incapacità di
condurre fino in fondo le battaglie ideali e, dunque, il degrado, il declino
morale, la perdita di quei princìpi e di quei valori che i figli degli anni
Venti consideravano imprescindibili, affezionati com'erano all'idea di
un'Italia più buona, più giusta, in poche parole resistenziale e fedele al
dettato costituzionale.
Non sorprende, pertanto, che il suo ultimo
spettacolo teatrale si intitolasse "Le ultime lune", come non
sorprende il dubbio straziante che attanagliava Mastroianni, ossia che le
platee, alla fine, lo applaudissero più perché sapevano che stesse per morire
che per la sua inoppugnabile bravura.
Era un uomo fragile, travagliato,
fondamentalmente solo e innamorato della solitudine, vittima delle sue
tribolazioni interiori, alla continua ricerca di una storia più grande della
sua piccola ma significativa epopea, fondamentalmente uno sconfitto, al netto
del successo, della fama, della ricchezza e di luci della ribalta che, più che
gratificarlo, spesso davano l'impressione di metterlo in imbarazzo.
Morì a Parigi, con estrema e straordinaria
dignità, quel viso enigmatico ormai segnato dal male e un interrogativo mai
veramente risolto: se sia stato Mastroianni a raccontare il Novecento e la sua
complessità o viceversa. Diciamo che si sono svelati a vicenda, sulle note di
un senso d'abbandono e di progressiva rassegnazione che, in fondo, è stata la
colonna sonora di entrambi.
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