lunedì 19 dicembre 2016

Governo Renziloni, nomine in scadenza: la lista di Renzi a Gentiloni per tenersi Eni, Enel e Poste



da: Il Fatto Quotidiano

Il patto per confermare i vertici di Eni, Enel e Poste
Il nuovo premier è il garante della stabilità. Saranno confermati i vertici degli enti: anche di quello petrolifero, nonostante l’inchiesta sull’ad Descalzi. Fuori Moretti (Finmeccanica) a rischio condanna.
di Stefano Feltri e Carlo Tecce

C’è chi dice che sia stato prodotto anche un documento, un “patto Gentiloni” con tutti i nomi, parte cruciale del processo di scelta del nuovo premier. Ma quello che conta è la sostanza: il nuovo assetto politico ha un esito quasi inevitabile, la riconferma dei principali capi azienda delle società controllate dallo Stato, soprattutto Eni, Enel e Poste. Paolo Gentiloni è il garante di uno status quoche si regge su equilibri addirittura rafforzati dal provvisorio passo di lato di Matteo Renzi.

In primavera scadono i vertici delle partecipate pubbliche nominati dall’ex premier nel 2014, con una sorprendente rottura rispetto alla linea concordata da un altro premier transitorio, Enrico Letta che, proprio come Gentiloni, avrebbe dovuto essere il garante della continuità.

I potentissimi Fulvio Conti (Enel) e Paolo Scaroni (Eni) erano sicuri della conferma, appena arrivato, invece, Renzi li ha licenziati nell’unica rottamazione che ha davvero portato a termine, sostituendoli con Francesco Starace e Claudio Descalzi.
Il caso dell’Eni è come sempre quello più delicato. In tanti si aspettavano già prima dell’estate l’avviso di conclusione indagini per l’inchiesta sulle presunte tangenti girate intorno al maxi-giacimento Opl 245 in Nigeria.
Il deposito degli atti è atteso nelle prossime settimane: Descalzi è indagato per corruzione internazionale e tutti si aspettano la richiesta del rinvio a giudizio firmata dal pm Fabio De Pasquale.

I professionisti delle nomine che si sono mossi nell’ombra durante la crisi di governo hanno fatto due conti. Una volta arrivata la richiesta di imputazione, gli indagati chiederanno di avere il tempo necessario per analizzare le migliaia e migliaia di pagine depositate (da mesi c’è molta curiosità soprattutto sulle intercettazioni telefoniche). La partita delle nomine si decide a metà aprile, quando il ministero del Tesoro deve presentare le liste per il consiglio di amministrazione, ma l’eventuale rinvio a giudizio per Descalzi e gli altri manager di prima fascia indagati arriverebbe soltanto soltanto a cose fatte. E così il governo Gentiloni eviterebbe anche l’imbarazzo di dover confermare un imputato al vertice: nel 2014 Renzi aveva avallato la modifica drastica degli statuti delle partecipate che vietava la nomina di manager rinviati a giudizio o li faceva decadere. Norma bocciata in assemblea proprio da Eni, con il Tesoro in minoranza, e che poi Enel ha cancellato, dopo averla introdotta.
Descalzi sarebbe salvo: il suo unico vero concorrente rimasto, Marco Alverà (ex delfino di Paolo Scaroni in Eni e oggi ad di Snam) si è da tempo rassegnato ad attendere il prossimo giro o la conclusione della vicenda processuale di Descalzi.

Anche la conferma di Emma Marcegaglia pare garantita dal “patto Gentiloni”: Renzi si era molto risentito di non
essere stato avvisato dai suoi informatori della condanna subita dal fratello dell’ex presidente di Confindustria, Antonio, che nel 2008 ha patteggiato 11 mesi con la condizionale per corruzione. L’accusa era di aver pagato a Lorenzo Marzocchi del gruppo Eni una mazzetta da un milione e 158 mila euro per agevolare l’assegnazione di un appalto.
Renzi forse l’avrebbe sostituita, ora con Gentiloni la Marcegaglia può stare più tranquilla. Così come Francesco Starace: l’ad dell’Enel ha avuto una breve ma intensa fase di centralità nel cosmo renziano, quando ha sostituito Telecom nei desideri di politica industriale dell’ex premier offrendo un ambizioso piano per la costruzione della banda larga, sostenuto da fantomatiche sinergie con il business elettrico tradizionale.
I miracoli di quel piano sono tutti da verificare, ma il governo Gentiloni dovrà assicurare un altro mandato a Starace (alcuni estimatori renziani, nel momento dei grandi annunci, lo vedevano già all’Eni). E con lui si salverebbe anche la presidente, Patrizia Grieco. Nel “patto Gentiloni” c’è anche Francesco Caio, l’ad di Poste Italiane, un altro che con la vittoria del Sì (per la quale ha fatto la sua parte, con le Poste impegnate a far arrivare milioni di opuscoli di propaganda agli italiani, con tariffe ridotte per il Pd) quasi certamente avrebbe cercato un’altra posizione: la sintonia con l’ex premier non c’è mai stata, i rapporti con il presidente Luisa Todini sono da sempre complicati, la missione della quotazione è ormai conclusa.
Ma anche gli assetti di potere del nuovo governo valgono un secondo triennio in Poste per Caio, per non turbare il quadro generale. L’unica eccezione al progetto di stabilità rischia di essere Mauro Moretti: sull’amministratore delegato di Finmeccanica incombe la possibile condanna per la strage di Viareggio, a settembre il pm servirebbe a legittimare l’allontanamento di un manager che, dopo una carriera passata a cementare il monopolio delle Ferrovie dello Stato, ha provato ad applicare lo stesso stile gestionale a un’azienda complessa come Finmeccanica (con lui sta cambiando nome in Leonardo), ma il compito si è rivelato più arduo del previsto e i risultati incerti. La sua ruvidezza non è apprezzata dai clienti del gruppo.

Il “Patto Gentiloni” sulle nomine è piuttosto preciso. Ma ha un grosso limite: è stato definito molti mesi prima delle delle scadenze ed è garantito da un soggetto – Matteo Renzi – che ora è lontano da Palazzo Chigi. In molti si chiedono quanta presa avrà ancora su equilibri che finora dominava al punto da inserire nei cda di grandi gruppi figure come il suo avvocato (Alberto Bianchi, Enel) o i suoi primi finanziatori (Fabrizio Landi, Finmeccanica).

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