da: Il Fatto Quotidiano – di Fabrizio Esposito
Lapidazione, decapitazione oppure crocifissione se viene commesso uno di questi reati: “blasfemia, apostasia, corruzione, stregoneria, rapina, distribuzione e/o consumo di alcol, furto, pratiche sessuali come adulterio, sodomia e omosessualità e reati legati alla droga”.
Lapidazione, decapitazione oppure crocifissione se viene commesso uno di questi reati: “blasfemia, apostasia, corruzione, stregoneria, rapina, distribuzione e/o consumo di alcol, furto, pratiche sessuali come adulterio, sodomia e omosessualità e reati legati alla droga”.
Il nuovo Afghanistan sanguinario e oscurantista dei Talebani? No, l’Arabia Saudita rinascimentale che può contare vari amici come Matteo Renzi e Italia Viva, fedeli sudditi del principe assassino Mohammed bin Salman. Tra i Paesi che recepiscono la fatidica Shari’a nel loro diritto o nello loro consuetudini tribali c’è infatti anche il regno che paga il capo di Iv. Ma dell’Arabia Saudita non c’è traccia nelle intervistone che ieri Renzi e pure Maria Elena Boschi hanno rilasciato rispettivamente ad Avvenire e Il Giornale. Due sassi e due misure, per rimanere in tema di lapidazione. Ora l’emergenza sono i Talebani e così sembra che solo nel povero Afghanistan sia in atto una crudele repressione contro le donne.
In realtà le punizioni corporali per adultere e omosessuali sono diffuse anche in Iran, Iraq, Nigeria, Qatar (dove si terranno i Mondiali di calcio del 2022), Somalia, Sudan, Yemen, Brunei, Mauritania, Pakistan. E qui si torna alla Shari’a. Esattamente che cos’è? Per evitare di fare confusione, come capita spesso di leggere o ascoltare in questi giorni, va innanzitutto detto che non si tratta di un testo codificato, né di un corpus che raccoglie leggi religiose. Piuttosto è la somma dei princìpi e dei valori dell’Islam che provengono dal Corano e dalla Sunna, che mette insieme atti e detti (hadith) di Maometto secondo la tradizione. Nella Shari’a quindi rientrano non solo le punizioni corporali e il burqa ma anche la preghiera, il digiuno, il pellegrinaggio alla Mecca, l’elemosina, il divieto di bere alcolici e mangiare carne di maiale, cioè i pilastri fondamentali di ogni credente musulmano.
Piuttosto pene ancestrali come quella della lapidazione vengono elaborate dai giuristi islamici esperti di fiqh, cioè la “comprensione profonda” della Shari’a, che a sua volta vuol dire “strada battuta verso l’acqua”. Anche gli ebrei lapidavano le adultere, ma poi la pratica venne “abolita” da Gesù in un famoso episodio riportato dal Vangelo: “Chi di voi è senza peccato, scagli la prima pietra”. A dire il vero neanche il Corano fa menzione della lapidazione, che invece si desume da un hadith della Sunna. Tutto origina dal presunto tradimento di Aisha, la moglie prediletta del Profeta, accusata di aver trascorso una notte con “un uomo più bello e giovane” di Maometto. Non solo, dopo che il Profeta elaborò le regole coraniche sull’adulterio, prevedendo la fustigazione per i colpevoli, sarebbe stata la stessa Aisha a rivelare che erano “scomparsi” i versetti con la prescrizione della lapidazione, mangiati da un’inconsapevole pecora.
In
ogni caso, non c’è tuttora uniformità sulle “ingiunzioni legali” rivelate nel Corano.
Chi dice che riguardano solo 80 versetti su 6.236 totali, chi invece 190, 500 o
600. La percentuale va dal 3 al 10 per cento dei versetti coranici e comunque
sempre filtrata dall’elaborazione “umana”.
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