domenica 22 novembre 2020

Mariangela Pira: Anno Zero d.C.

 

 

Prefazione di Massimo Galli 

Direttore del Dipartimento di Scienze biomediche e cliniche “Luigi Sacco” dell’Università di Milano 

All’inizio del XIX secolo, quando Napoleone si apprestava a conquistare l’Europa, si stima che sulla terra vivessero meno di un miliardo di persone. Duecento anni dopo eravamo oltre sei miliardi. Oggi quasi sette e mezzo. Fra tutti i fenomeni che hanno segnato la nostra storia, è difficile trovarne uno più eclatante e denso di conseguenze.

Nel 2019, le compagnie aeree hanno staccato circa 4,6 miliardi di biglietti. E l’aereo è certamente un veicolo assai più rapido ed efficiente nel diffondere epidemie di quanto potesse essere una caravella. Che pure, cinquecento anni fa, ci è riuscita benissimo, trasportando nelle Americhe il vaiolo, il morbillo e molto altro, con conseguenze devastanti sulle popolazioni indigene. Se aggiungiamo le alterazioni climatiche, le deforestazioni, le violenze variamente perpetrate a carico degli ecosistemi, non dovrebbe meravigliare troppo quanto ci sta capitando.

L’Hiv è «passato» all’uomo quando qualcuno, probabilmente nei primi anni Trenta del secolo scorso, si è ferito macellando uno scimpanzé ed entrando in contatto col suo sangue, prima di mangiarselo arrostito. Dal 1981 – l’anno in cui l’Aids è «emerso» – a oggi le «nuove» malattie infettive segnalate nell’uomo sono almeno una trentina, senza contare le cosiddette

riemergenti e risorgenti. Le priorità dell’Organizzazione mondiale della sanità, le malattie definite R&D Blueprint, sono oggi il Covid-19, la febbre emorragica di Crimea-Congo, le malattie da virus Ebola e Marburg, la febbre di Lassa, due altre infezioni da coronavirus (Mers e Sars), le infezioni da virus Nipah e da altri henipavirus, la febbre della valle del Rift e l’infezione da virus Zika. L’elenco si conclude con la «Disease X», la malattia causata dal patogeno che ancora non c’è, o che non è ancora emerso, in grado di causare un’epidemia grave e globale o sovranazionale tale da mettere in crisi i sistemi sanitari. Meglio e peggio dello stesso Covid.

Molti dei nomi delle malattie in elenco sono sconosciuti, o quasi, al grande pubblico. In gran parte, si tratta di zoonosi, cioè di malattie causate da virus trasmessi o derivati da animali. Purtroppo lo scrigno di Pandora è ancora colmo di sorprese. Solo nei pipistrelli le specie virali a oggi identificate sono oltre duecento, molte delle quali appartenenti a famiglie di virus in grado di infettare anche l’uomo. Dai pipistrelli ci sono arrivati, ad esempio, Ebola (tutte e cinque le specie virali note), i tre coronavirus peggiori (Sars 1 e 2 e Mers) e il virus Nipah. Alcune specie in America Centrale e Meridionale possono trasmettere il virus della rabbia. E poiché le specie note di pipistrello sono circa 1100, è evidente che c’è ancora tanto da scoprire ed eventualmente «ricevere» da loro. Come da varie specie di roditori, uccelli selvatici e numerosi altri animali. Di questo, e di molto altro, si dovrà tenere ben conto per il futuro.

Gli agenti infettivi sono stati il maggior fattore di selezione nella nostra specie e il maggior freno all’espansione demografica. Per molti versi, hanno plasmato la storia.

L’impero romano ha compiuto il suo inarrestabile declino dopo aver subito il tracollo demografico causato dalla peste antonina, il probabile esordio europeo del vaiolo come agente pandemico. Successivamente aiutato con molta probabilità dal morbillo. L’imperatore Marco Aurelio ne è, nel 180 d.C., la vittima più illustre. Davvero curioso che le stesse malattie che hanno minato gli imperi azteco e inca avessero riservato lo stesso trattamento quattordici secoli prima all’impero romano.

La peste giustiniana, che dal 541 d.C. segna l’inizio della prima pandemia pestosa, svuota il Nord Africa aprendolo all’invasione araba e offre ai Longobardi l’occasione di penetrare incontrastati in Italia. La seconda pandemia pestosa, che inizia con la cosiddetta peste nera del 1347, avrebbe ridotto la popolazione umana da 450 a 350-375 milioni di individui. Un ripristino della consistenza totale della popolazione avverrà solo dopo il 1500, ma il ricorrere della peste costituirà un freno demografico fino alla seconda metà del XVII secolo. Del resto, l’aspettativa di vita alla nascita è rimasta inferiore ai quarant’anni fino al XIX secolo. Tanto da non essere troppo diversa, per l’elevata mortalità infantile, in un villaggio del neolitico e nella Liverpool del 1860.

Il raddoppio, o quasi, dell’aspettativa di vita osservato dal secondo dopoguerra, non casualmente in parallelo con l’incremento esponenziale della popolazione mondiale, riflette il miglioramento delle condizioni igieniche e il ruolo di vaccini e farmaci antinfettivi, piuttosto che l’adeguamento del nostro sistema immunitario agli agenti patogeni, indotto da fattori evolutivi. È invece probabile che la maggior parte di noi conservi una naturale vulnerabilità alle malattie infettive, e che vaccini e antibiotici abbiano consentito la sopravvivenza fino all’età adulta e alla vecchiaia di molti che in era preantibiotica non avrebbero superato l’infanzia. Mentre i nostri comportamenti favoriscono l’emergenza di nuove infezioni.

Si è molto discusso e recriminato su quanto fosse possibile prevedere l’emergenza in atto. Più che prevedibile – quanto sopra dice chiaramente che un’emergenza come questa era prevista. Come evenienza, non nei dettagli, cioè su quando sarebbe successo e su quale virus sarebbe stato implicato per primo. Avessi dovuto scommettere, avrei puntato su una pandemia causata da un ceppo del virus dell’influenza A ben più aggressivo dell’H1N1 del 2009, molto più simile negli effetti all’altro H1N1, quello del 1918, più noto come il virus della Spagnola. Che si chiama così non perché la malattia si fosse originata in Spagna, ma perché, con una guerra mondiale in corso, la Spagna era l’unico paese europeo in cui le notizie su questa devastante epidemia potessero essere liberamente riferite dai giornali.

E questo apre una questione cruciale: le epidemie, da che mondo e mondo, disturbano i piani della politica e danneggiano le economie. E la difesa di interessi economici è di regola la prima causa di – chiamiamolo così, prendendo in prestito un termine di moda – negazionismo delle infezioni trasmissibili, o meglio, del manifestarsi di epidemie nella nostra storia. Molto più efficace, nel comportare conseguenze deleterie, dei negazionismi ideologici o dettati da pura ignoranza.

Fra i tanti esempi «antichi» della pessima relazione tra autorità politica e rapido riconoscimento delle epidemie ne cito uno, minore ma significativo, riportato da Carlo Maria Cipolla nel suo saggio Cristofano e la peste. Poiché nei mesi di luglio e agosto del 1630 la mortalità in Prato era stata più alta del normale, il consiglio della città aveva deciso di chiedere l’adozione di varie misure tra cui l’autorizzazione ad approntare un lazzaretto, ricevendo dalle autorità sanitarie fiorentine un diniego, motivato dalla necessità di evitare il panico. Ma soprattutto il bando del ducato da parte di altre nazioni, come avveniva in corso di un’epidemia pestosa riconosciuta come tale, con conseguente blocco dei commerci. Negli stessi giorni, a Milano, i morti di peste avevano superato le decine di migliaia.

Le esitazioni delle autorità e dei medici stessi nel riconoscere un’epidemia sono un’altra costante. Le vicende dell’esordio del Covid-19 in Cina ne sono solo l’esempio più recente. E la tentazione di riaprire troppo presto è un’altra costante.

La peste uccide Tiziano a Venezia il 27 agosto 1576. I funerali si svolgono in fretta e furia, ma più che da quello mi vien da pensare che l’ottantaseienne pittore potesse essere indispettito dall’insufficienza dei provvedimenti restrittivi emanati dalla Serenissima da un anno a quella parte, nel corso di un’epidemia che si sarebbe presa un gran numero di veneziani, forse 50.000. Girolamo Mercuriale e Girolamo Capodivacca, professori in Padova, avevano sorvolato inizialmente sulla vera natura del morbo e solo dopo il tragico aggravarsi della situazione, con l’arrivo dell’estate del 1576, il senato della Repubblica si era risolto a disporre che chi si fosse scoperto ammalato dovesse recarsi nella propria parrocchia e descrivere i suoi sintomi. Quindi doveva chiudersi in casa con i suoi famigliari e aspettare la visita di un medico.

 Assonanze bizzarre, a quattrocentocinquant’anni di distanza. Oggi, quando la Borsa sale e scende in relazione con le notizie sull’avanzamento dello sviluppo di un vaccino, val la pena di ricordare che la crisi in corso apre una grande occasione per provvedere al contenimento dei danni alla natura che sono alla base della trasmissione all’uomo di nuove infezioni e alla riorganizzazione dei sistemi sanitari per la prevenzione e la cura delle malattie trasmissibili.

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