Pensavo
che il martirio alle comunità cristiane fosse una pagina archiviata. Invece no
Quaraqosh, Iraq. Mi trovo nella Chiesa
della Resurrezione, a Qaraqosh, ci accompagna Padre Majeed Attalla. Mentre
osservo il tetto divelto e i fori dei proiettili di kalashnikov sulle pareti,
mi ricorda la mappa di ciò che è accaduto tutto intorno: 116 case bombardate,
2228 bruciate dalla furia ideologica dell'Isis. Padre Majeed mi dice: "Noi
siamo ancora vivi. Grazie a Dio, siamo potuti tornare nella nostra terra. Ora
non ci resta che ricostruire".
Un velo ti tristezza mi avvolge. E questo
tetto sventrato è uguale a quello della chiesa di sant'Antonio, in Sri Lanka.
La strategia del terrore è la stessa.
Come faranno a ricostruire? Qui il Daeash è
ancora presente in molti uomini che i cristiani non li vogliono. E il pensiero
va all'Egitto, al Pakistan, alla Nigeria, allo Sri Lanka e alla sua capitale,
Colombo, messa in ginocchio da 86 attacchi solo nell'ultimo anno. Ieri, quello che ha colpito al cuore nel giorno di Pasqua la
comunità cristiana, con quasi 300 morti, 500 feriti, 24 arresti, 7 kamikaze.
Pensavo che il martirio alle comunità
cristiane fosse una pagina archiviata. Invece no: solo nel 2018, 245 milioni di
cristiani sono stati perseguitati nel mondo. Su 150 Paesi monitorati, 73 hanno
mostrato un livello di persecuzione "alta, molto alta o estrema".
Alcuni anni fa erano 58. Al primo posto, la Corea del Nord, l'Afghanistan al
secondo, la Somalia sul terzo gradino di questo triste podio. In Medio Oriente
un cristiano su tre è perseguitato.
Per molti quindi andare in Chiesa è un indomito
atto di coraggio. Scorro le agenzie internazionali, e leggo la dichiarazione
del più importante porporato dello Sri Lanka, il cardinale Ranjjt, che afferma:
"Si tratta di un momento molto, molto triste per tutti noi. È stata
colpita l'intera convivenza tra le religioni nel Paese".
A Colombo il principale santuario, raso al
suolo, era dedicato a sant'Antonio, figlio di san Francesco. Ogni martedì un
grande pellegrinaggio verso la statua del Santo era vissuto solo dai cristiani
ma anche da musulmani, hindu e buddisti. La chiesa era un santuario nazionale,
ma anche un luogo di convivenza multi-religiosa.
In Sri Lanka ero stato alcuni anni fa, e le
tensioni erano palpabili. Eravamo stati lì per portare la carità del nostro
Paese. Per far ricostruire case, chiese e centri per la distribuzione del pane
e di beni di prima necessità, nei luoghi dove si erano combattute per anni le
tigri Tamil, un gruppo militare separatista nel nordest del Paese (sconfitto
definitivamente nel 2009), e le etnie cingalesi diffuse nel resto dello Sri
Lanka.
Ritorno ad Erbil per vivere la celebrazione
di Pasqua insieme ai sacerdoti e al vescovo Monsignor Bashar Warda nella Chiesa
di san Giuseppe, una delle ultime tappe del nostro viaggio nelle terre
irachene. La lingua è quella aramaica, la chiesa è gremita, il coraggio non
manca, ma improvvisamente va via la luce e un fremito di paura si conficca nel
cuore e nell'anima. Con me Alessio Antonielli, ci guardiamo e non ci sentiamo
sicuri. La luce andrà via altre due o tre volte. Ma la fede no, insieme alla
paura. E al coraggio dei cristiani.
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