Non ho sentito i brani di Antonacci e
Pausini perché..giusto per rimanere nel concetto del parere di Monina..trovo
che la Pausini sia un efficace lassativo e io tengo ancora un intestino
regolare.
Mi chiedo però….che penserebbe Monina degli
inediti dei concorrenti cantanti di Amici…
Michele
Monina: Antonacci e Pausini, per il loro nuovo singolo bisogna scomodare Frank
Zappa (seduto sul cesso)
La
foto del baffuto musicista seduto sul water con i calzoni calati alle caviglie
è passata alla storia. Ma è anche la perfetta immagine per rappresentare cosa
si prova nell'ascoltare il nuovo singolo di Biagio Antonacci e Laura Pausini,
“In questa nostra casa nuova”. Non proprio un capolavoro
Frank Zappa era un genio assoluto. Un
rocker capace di trovare quel punto di incontro, oggi evidente ai più, tra
musica rock e musica classica. Non solo nella composizione in sé, quanto, più
che altro, nell'attenzione alla complessità che la composizione può permettere.
Discorso complesso che non affronterò in questa sede, ma chiunque abbia avuto
il piacere, perché di piacere si tratta, di ascoltare le opere di Zappa ben sa
di cosa parlo. Frank Zappa, signore e signori. Un iconoclasta, inoltre.
Uno di quelli che quando apre bocca dice
cose ficcanti, non sempre vere, ma figuriamoci se è la verità quello che ci
interessa sentir dire a un iconoclasta. A lui sono attribuite, anche per questo
suo essere iconoclasta, alcune delle immagini più immaginifiche riguardo al
rapporto complicato tra musica e critica musicale, attribuzione per altro
posticcia e non sempre vera. Per dire, a lui si attribuisce la nota frase «Buona
parte del giornalismo rock è gente che non sa scrivere, che intervista gente
che non sa parlare, per gente che non sa leggere», ma ci sono dubbi sulla veridicità
della citazione. Mentre è senz'altro sua l'altrettanto nota «parlare di musica
è come danzare di architettura». Entrambe, converrete, sono emerite puttanate,
ma a un genio iconoclasta come Zappa le si possono ben perdonare. Perché un
visionario ha ben diritto di dire cose che non rispondano necessariamente al
vero, ma a una sua visione del mondo.
Ecco, Frank Zappa. Un genio del secolo
scorso, ancora insuperato. Non solo un genio musicale, si badi bene, un genio.
Punto. Ho saputo della sua morte, avvenuta nel volgere del 1993, da mio cognato
Mauro, il marito di mia sorella. Pianista e tastierista di orientamento soul,
un passato da turnista con artisti i cui nomi potrebbero, ingiustamente, non
evocare molto nei lettori più giovani, da Stefano Rosso a Roberto Soffici, mio
cognato mi diede la ferale notizia in maniera non troppo diretta, non tanto per
tatto quanto perché evidentemente era convinto di quel che diceva. «Hai saputo
che è morto quello che ti somiglia?».
Ora, oggi capita spesso che mi si dica che
somiglio a Stefano Bollani, forse a ragione. Abbiamo caratteristiche somatiche
simili, dal nasone ai capelli ricci e neri, alla barba incolta. Ma all'epoca
nessuno sapeva chi era Bollani. All'epoca, ma giusto tra adepti, mi dicevano
che somigliavo a Kim Tahyil dei Soundgarden. Due volte, a Bologna, dopo loro
concerti, mi hanno fermato per chiedermi autografi e fare due chiacchiere. Ma
mio cognato non sapeva e non sa chi sia Kim Tahyil, mi ci gioco quel che vi
pare. Di fronte alla mia perplessità, giustamente, mio cognato Mauro spiegò
meglio. «Dai, è morto Frank Zappa, siete due gocce d’acqua». Mio cognato, per
la cronaca, assomiglia, o almeno assomigliava, a Lionel Richie, quello di All
night long e di Hello. C'è una foto del suo matrimonio con mia sorella, lì con
un paio di baffi neri, in cui sembra proprio Lionel Richie, fatto che, essendo
lui un grande appassionato di musica soul, credo gli faccia piacere sentirsi
dire, a distanza di oltre trent'anni.
Ma non è di mio cognato Mauro che voglio
parlarvi. Né, tantomeno, di Lionel Richie. Anche se di mio cognato in qualche
modo sto parlando. Perché, appurato che mio cognato Mauro, ottimo pianista e
tastierista, gran brava persona, non ha molto senso della fisiognomica, anzi,
non ce l'ha evidentemente affatto, perché a parte nasone e capelli scuri, in
effetti ai tempi portati con codini laterali alla Frank Zappa, non è che io sia
esattamente il sosia del nostro, la notizia mi lasciò sconcertato, come spesso
capita quando veniamo a sapere che muore qualcuno che non conosciamo di
persona, ma la cui musica molto ha detto alla nostra vita.
Allora, nel momento in cui mio cognato mi
disse della morte di Frank Zappa, eravamo prima di internet (o almeno prima di
internet per tutti), le notizie si apprendevano spesso così, per passaparola.
Uno sentiva la notizia al telegiornale, o la leggeva su un quotidiano, e la
riferiva agli altri. Non c'era internet, e soprattutto non c'erano i social.
C'erano però le riviste musicali, in edicola, e c'erano anche le librerie. Per
cui, come spesso mi è capitato nella vita, ho approfittato di una brutta
notizia per ampliare la mia cultura personale, per approfondire la mia
conoscenza di Frank Zappa, non solo arricchendo la mia discografia, cosa che
all'epoca avveniva prevalentemente grazie a Nannucci Dischi e Il Disco d'Oro di
via Galliera a Bologna, città nella quale frequentavo Storia Moderna, ma anche
grazie a tutto quello che trovavo di scritto.
Ecco, c'è una foto che spesso accompagnava gli articoli su Frank Zappa, oltre
a quella già citata coi codini, foto che poi ho in qualche modo citato anche
io, nella mia iconografia personale, ed è una foto piuttosto singolare, come in
effetti non poteva che essere per una foto che vedeva ritratto Frank Zappa. C'è
lui, Frank Zappa appunto, seduto sulla
tazza del cesso. È a torso nudo,
e trattandosi di un rocker ci può pure stare. Non che il fisico fosse il suo
punto di forza, almeno non quello che palesa in questa foto (la sua nota
canzone Tengo una minchia tanta, col titolo che tradisce le origini italiane,
lascia intendere altro, buon per lui), e guarda in camera. La cosa che però più colpisce della foto, a parte un
telefono appeso al muro del bagno, di quelli antichi, con la rotella coi
numeri, prima che arrivassero i tasti, è il fatto che Frank Zappa, lì sul
cesso, ha mutande e calzoni calati intorno alle caviglie, per altro esibendo un
bel paio di scarpe nere con la punta, molto rockabilly. Come dire, Frank Zappa,
sembrerebbe dall'immagine ritratta, è stato fotografato mentre sta cagando. A
torso nudo e tutto, ma ineluttabilmente mentre sta cagando.
La cosa, lo confesso, ogni volta mi fa
tornare in mente una vecchia intervista vista su Rai 1, su Rai 1, capitemi, in
cui Lucio Dalla era appunto seduto sul cesso, sempre con mutande e calzoni
calati alle caviglie. Sul perché lo avessero intervistato in quel momento ho
sempre avuto seri dubbi, ma tant'è, se l'intenzione era stupire, beh, almeno il
me stesso bambino era rimasto stupito, ottimo risultato. Di Frank Zappa seduto
sul cesso, sempre a torso nudo, sempre mutande, in realtà non visibili, e
calzoni calati alle caviglie, esiste un'altra nota foto, con tanto di chitarra,
intento a suonare. Ma in realtà si vede che è seduto sulla tavoletta chiusa,
quindi lì si tratta di un posato atto proprio a provocare, perché nessuno si
siede a culo nudo sulla tavoletta chiusa del cesso, non sarebbe un serio motivo
per farlo, se non provocare. La foto di Frank Zappa che guarda in camera mentre
sta cagando, non credo di dire una aberrazione, è una delle immagini rock più
famose di sempre. Come Paul Simonon che spacca il basso nella copertina di London
Calling, John e Yoko a letto a farsi intervistare nel Bed In, Jimi Hendrix che
brucia la chitarra durante l'assolo, Chuck Berry che fa il passo dell'anatra,
il duck walk.
Ora, tutta questa lunga premessa su Frank
Zappa e la sua iconografia perché, si chiederà qualcuno? Niente, è uscito il nuovo singolo di Laura Pausini e Biagio
Antonacci, In questa nostra casa nuova, giunto a distanza di pochi mesi da
Il
coraggio di andare, e come questo atto a pubblicizzare l'imminente tour
congiunto negli stadi. Qualcosa, suppongo, che nella loro testa, soprattutto
nella testa di Biagio che l'ha scritto, avrebbe dovuto essere la loro Lo stadio, brano per altro piuttosto agghiacciante di Tiziano Ferro, pensato
evidentemente per essere cantato in coro, esattamente nel luogo che regala il
titolo al brano.
Solo che, se Lo stadio di Tiziano Ferro è un brano agghiacciante, soprattutto
se paragonato a indubbi capolavori come Sere
nere, Non me lo so spiegare o Ero contentissimo, In questa nostra casa nuova è un brano agghiacciante e basta, perché il resto del repertorio dei
nostri è altrettanto agghiacciante, brano
rispetto al quale Lo stadio di Tiziano Ferro sembra il Requiem di Mozart.
Nel caso di Biagio e Laura, in
sostanza, succede quel miracolo per cui
prendi un qualcosa di brutto, lo sommi a qualcosa di altrettanto brutto, forse
anche peggio, e di colpo la bruttezza si eleva all'ennesima potenza,
toccando soglie che sulla carta sembravano inimmaginabili.
Solo che, attenzione, il brutto che In
questa nostra casa nuova tocca non è di quelli che ti fanno dire «ha fatto il
giro completo e ora sembra bello», no, la canzone è di quelle che ti lasciano
basito, come una volpe che nella notte attraversa la strada e si trova di
fronte i fanali di una macchina sparata a massima velocità. Biagio e Laura sono
la macchina, noi la volpe, non credo fosse necessario ribadirlo. O meglio, voi
siete la volpe. Perché io sono quello che assomiglia a Frank Zappa, il nasone
evidente, i baffi folti e neri, forse adesso un po' ingrigiti, i capelli
raccolti in due codini, e sto seduto sulla tazza del cesso, le mutande e i
calzoni alle caviglie, intento a cagare: questa l'immagine che mi identifica
alla perfezione mentre ascolto In questa nostra casa nuova.
Nessun commento:
Posta un commento