Ancora una volta sulla Libia l’Italia è stata colta apparentemente di sorpresa. Come
del resto accade nel 2011 quando
Francia, Gran Bretagna e Stati Uniti decisero di fare fuori il Colonnello
Gheddafi. Poi l’Italia si accordò ai
raid della Nato commettendo un secondo errore: bombardammo il nostro
maggiore alleato nel Mediterraneo, ricevuto a Roma soltanto sei mesi prima e
con cui avevamo firmato accordi miliardari e nel campo della sicurezza,
perdendo ogni credibilità internazionale. Gli stessi americani ci hanno preso in giro: prima Obama e poi Trump ci hanno promesso una “cabina di regia” sulla
Libia che in realtà nessuno ci ha mai voluto dare, visti i precedenti.
Le
illusioni dell’Italia
L’Italia è un Paese di illusi. Con il
fascismo ha perso la seconda guerra mondiale, tutte le sue colonie ed è stato
occupato dagli Alleati ospitando dozzine di basi Nato e testate nucleari
americane che non controlla: puoi dichiarare di essere “sovranista” quanto vuoi
ma non avendo mai recuperato sovranità reale conti ben poco. Anche le famose
missioni militari all’estero con cui abbiamo avuto dozzine di morti in Iraq e
in Afghanistan non sono bastate a ridarci credibilità: siamo rimasti i camerieri degli americani che ci tirano le orecchie di continuo, come è accaduto quando abbiamo firmato un memorandum sulla Via della Seta
con la Cina e stretto contratti
commerciali con Pechino, di valore per altro ben inferiori a quelli di francesi
e tedeschi.
Da
escludere un intervento militare
Del resto cosa accadrebbe se intervenissimo
militarmente, da soli, a sostenere il governo
Sarraj di Tripoli? Al primo morto qui si scatenerebbe il finimondo. La Francia che noi vituperiamo tanto
perché protegge i suoi interessi manda i
suoi soldati ovunque e nessuno protesta, nemmeno i gilet gialli che qui
qualcuno ama tanto.
Un
attacco annunciato
Che il generale
Khalifa Haftar fosse sul piede di guerra era sotto gli occhi di tutti da mesi
e lo avevano segnalato anche su queste colonne: non possiamo dire che non
fossimo informati, pur nel silenzio generale di governo e opposizione, della
sua avanzata.
Il
giacimento libico El Feel
Bastava guardare cosa stava accadendo sul
terreno. Haftar aveva preso il controllo
dell’importante giacimento libico El Feel, gestito dall’Eni assieme alla Compagnia petrolifera
nazionale libica (Noc), un’operazione avvenuta nell’ambito della campagna
di conquista del Sud-Ovest con cui si era già impadronito dei pozzi di Sharara,
i più importanti della Libia.
Il
vero problema della Libia
Ma qui in
Italia quando si parla di Libia l’unico argomento sembrano i flussi dei
migranti che sono un conseguenza dell’instabilità libica, non la causa. Il problema libico è che
nel 2011 il Paese si è spezzato: Tripolitania e Cirenaica sono tornate a essere
entità diverse e in competizione, come era prima della sanguinosa
colonizzazione italiana che le unificò negli anni Trenta con il generale
Graziani (80mila morti).
Dopo la seconda guerra mondiale la Gran
Bretagna, potenza mandataria, puntò a tenere insieme la Libia sotto la
monarchia dei Senussi nonostante Re Idriss avesse dichiarato: “Io sono re della
Cirenaica non della Tripolitania”. Dopo la caduta di Gheddafi le due grandi
regioni, cui si aggiunge il Fezzan, non sono più tornate assieme, se non in via
teorica.
L’errore
dei governi italiani
L’errore
più marchiano commesso dai governi
italiani è stato quello di snobbare
per lungo tempo i rapporti con Haftar
perché pensavano che il governo di
Sarraj fosse appoggiato dalla comunità internazionale. In realtà Fayyez Sarraj ce lo abbiamo messo noi a
Tripoli: è un uomo debole, privo di una sua forza militare autonoma e
dipende dalla milizie.
Il
governo di Fayyez Sarraj
Inoltre il suo governo è malvisto perché viene appoggiato da gruppi islamisti e Fratelli
Musulmani. Ancora prima del petrolio questa è la vera ragione del
conflitto. Haftar, che è tra l’altro cittadino
americano, gode del sostegno
dell’Egitto, della Francia, dell’ Arabia Saudita, degli Emirati e in parte
degli Usa e della Russia perché ha il compito
di far fuori i Fratelli Musulmani a Tripoli, una della parti perdenti delle
vicende mediorientali, appoggiati
soltanto da Qatar e Turchia. Il Qatar tra l’altro proprio per questo è
boicottato dalle monarchie del Golfo che lo vedono come il fumo negli occhi.
Gli
interessi petroliferi
L’Italia
si è adattata alla situazione perché
ha il 70% dei suoi interessi petroliferi
in Tripolitania ma anche per gli affari
con il Qatar, uno dei maggiori
investitori stranieri in Italia e al quale abbiamo fornito in un anno mezzo circa 10 miliardi di dollari di armi, tra navi, elicotteri e aerei.
Non facciamo i furbetti come al solito: sappiamo benissimo le ragioni per cui
sosteniamo il governo di Tripoli. Ma non abbiamo la forza per tenerlo in piedi.
Gli
obiettivi del generale
Il generale
Haftar ha tre obiettivi. Il primo è conquistare il potere facendo fuori gli islamisti. Il secondo impadronirsi delle entrate petrolifere: lui controlla infatti i
pozzi del Sud e i terminali dell’Est ma non può esportare il greggio per un
embargo internazionale e i soldi dell’oro nero li incassa ancora Tripoli con la
banca centrale libica. Aveva infatti chiesto recentemente di aumentare del 40%
la sua quota di entrate. Questi due obiettivi
non sono facili da raggiungere e
non è detto che la sua offensiva su Tripoli abbia successo: deve evitare un
bagno di sangue per presentarsi come un “pacificatore” del Paese. In realtà i
sauditi gli hanno dato i finanziamenti per comprarsi l’appoggio delle fazioni
avversarie ma questa operazione non è ancora riuscita completamente.
La
conferenza dell’Onu sulla Libia
Ha già invece colto il terzo obiettivo, quello più immediato: far saltare, con ogni probabilità, la conferenza nazionale sulla Libia
sponsorizzata dall’Onu che dovrebbe svolgersi a Ghadames tra una settimana.
In ogni caso adesso ha alzato la posta e
fatto capire che lui e i suoi sponsor non hanno nessuna intenzione di
lasciare a lungo al potere il governo di Tripoli.
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