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di Manuela D’Alessandro
“Non
risulta che il Tribunale abbia mai assunto il ruolo di stazione appaltante”.
Roberto Bichi consegna a una nota la sintesi della riunione coi presidenti di
sezione (tutti presenti) del Tribunale di Milano per discutere sugli appalti
Expo alla giustizia dopo l’esposto – denuncia di Anac. E siccome la
stazione appaltante dei 16 milioni piovuti sul Palazzo di Giustizia in modo
poco trasparente e senza gare era il Comune di Milano (sindaco prima
Moratti, poi Pisapia) viene immediato pensare a chi venga
attribuita l’eventuale responsabilità di illeciti. E’ un presidente
che appare a chi c’era “molto teso” quello che si presenta al cospetto dei
suoi magistrati ai quali chiede un parere sulla nota stampa preparata per
difendere “il ruolo del Tribunale di Milano, impegnato nel garantire il massimo
di legalità”.
Bichi, che gode si solida stima tra i
colleghi, protegge l’istituzione da lui guidata su tutta la linea, senza distinguo
tra la sua era e quella di Livia Pomodoro, di cui è stato prima vicario e
poi successore. Fuori ci sono le telecamere e qualche giudice, prima di
entrare, si copre il volto per non essere ripreso in quello che
appare all’esterno come un robusto ‘serrate i ranghi’ di fronte all’attacco
sferrato da Raffaele Cantone che nella relazione adombra responsabilità di loro
colleghi.
Dopo avere ricordato che le carte degli
appalti erano visibili da tempo su giustiziami.it, Bichi da’ conto di
un dossier inviato dal Comune ai capi degli uffici giudiziari a marzo scorso
(tempistica sospetta: di febbraio il primo blitz di Anac) in cui si riepiloga
l’utilizzo dei 16 milioni di euro per informatizzare la giustizia. ”Emerge
che tali impegni sono stati effettuati tramite gare d’appalto o con affidamento
complementare o con adesione a convenzioni Consip”. Per quel che ne so io,
assicura, era tutto a posto, i conti tornavano, e se ci sono singole
responsabilità, aggiunge, “auspico che emergano al più presto per
dirimere dubbi, evitare illazioni e non ledere l’immagine e il ruolo del
Tribunale”.
Il nome di Roberto Bichi compare nel verbale della riunione della
svolta del 15 ottobre 2014. Dopo i primi articoli di stampa, i vertici
dell’amministrazione giudiziaria e i rappresentanti del Comune e del
Ministero decidono che, per quel che resta da spartirsi dei 16 milioni
di euro, non si faranno più affidamenti diretti ma solo gare. In quel
momento, tutti i presenti sono quindi consapevoli che il ‘tesoro’ di Expo
stanziato dal Governo è stato distribuito con affidamenti diretti quantomeno
discutibili.
“Bichi – si legge nella sintesi
dell’incontro – si dichiara d’accordo col Presidente Canzio che la
consolle d’appello (uno dei progetti da finanziare, ndr) è indispensabile
perché c’è un vincolo temporale e deve essere data una priorità pe via
della scadenza. Ma si domanda che fine fa il giudizio d’appello, a
livello nazionale se la Consolle non viene finanziata coi fondi di
Expo”. Poi puntualizza che è scorretto “parlare di fondi Expo per il Tribunale
di Milano, nel senso che sono fondi per la giustizia italiana e per tutti i
Tribunali italiani”.
Dalla mailing list delle toghe, arriva
intanto la reazione stizzita di Enrico Consolandi, magistrato civile tra i
più atttivi nella gestione dei fondi. “Oggi qualcuno dice che il problema è la
scelta del contraente – scrive – distogliendo così le forze da quelli che sono
i veri obbiettivi che sono quelli di potere ottenere risorse per lavorare”. Ma
come vengono scelti i contraenti? Che rapporto c’era tra la Camera di
Commercio, beneficiaria di strane convenzioni, e il Tribunale? E quali
sono gli esiti di questa selezione? Questa è la vera domanda che si pone chi
col naso all’insù vede tutti i giorni i monitor spenti che dovevano servire a
orientare il cittadino e oggi lo lasciano ancor più smarrito.
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