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Uk,
la sinistra del 900 argina la vecchia destra: il futuro resta da scrivere
di Jacopo
Tondelli
Nel regno in cui è nata la rivoluzione
industriale, in cui sono nati John Maynard Keynes e Adam Smith, in cui
Marx ha formulato le sue teorie. Nella terra che ha visto il liberismo
economico diventare teoria e prassi politica compiuto, con Maggie Thatcher. Nel
paese che ha praticato inventandola la Terza Via con Tony Blair fino alla
scommessa rischiatutto di David Cameron. Ancora, nel paese dell’Unione Europea
che ha per primo deciso di uscirne. Insomma, il Regno Unito, terra di
innovazione e politica da un paio di secoli, il voto di ieri restituisce una
fotografia statica che somiglia molto al passato.
Theresa May, al di là del gioco
spregiudicato e a perdere che l’ha portata
a chiamare un voto che la vede alla fine uscire sconfitta, e rabberciare un fragile governo di coalizione dopo aver promesso che in una situazione di calo di consenso avrebbe lasciato ad altri l’onere, rappresenta il mondo antico del conservatorismo novecentesco. Impiccata ad una Brexit che, con lei alla guida, non potrà che essere molto hard, il suo percorso politico sta tutto dentro a una costituency nazionalista e isolazionista, proprio quella che dall’Europa chiedono di ammorbidire per essere morbidi – o meno duri – nella gestione della Brexit. Numericamente ha l’onore e l’onere di dover formare un governo, ma politicamente esce sconfitta lei e con il tratto vetero-identitario assunto dai Tory.
a chiamare un voto che la vede alla fine uscire sconfitta, e rabberciare un fragile governo di coalizione dopo aver promesso che in una situazione di calo di consenso avrebbe lasciato ad altri l’onere, rappresenta il mondo antico del conservatorismo novecentesco. Impiccata ad una Brexit che, con lei alla guida, non potrà che essere molto hard, il suo percorso politico sta tutto dentro a una costituency nazionalista e isolazionista, proprio quella che dall’Europa chiedono di ammorbidire per essere morbidi – o meno duri – nella gestione della Brexit. Numericamente ha l’onore e l’onere di dover formare un governo, ma politicamente esce sconfitta lei e con il tratto vetero-identitario assunto dai Tory.
Dall’altro lato, il labour con anima e
testa a sinistra di Jeremy Corbyn raccoglie un’affernazione importante, un
risultato inatteso e imprevedibile fino a poche settimane fa. Era in effetti
sulla base di ben altri sondaggi che Theresa May appena in Aprile aveva
chiamato l’ordalia elettorale convinta di risolvere senza fatica la pratica,
garantendosi un governo monocolore con un’ampia vittoria. Così non è stato.
L’intera parabola di Corbyn è quella di un
uomo di sinistra coerente, testardo, minoritario e leale al e nel suo partito,
che vive il “suo” momento proprio quando il laburismo classico sembrava
definitivamente destinato alle soffitte della storia. Raccoglie, con questa
importante rimonta, gli esiti di una globalizzazione non irenica come ce
l’eravamo raccontata. E il suo bel risultato mette a pieno frutto la voglia di
protezione sociale e di sicurezza di tanti che non si riconoscono, o non si
riconoscono più, in risposte di destra.
Sottostimare il risultato di Corbyn
rubricandole a semplice, algebrica sconfitta, sarebbe disonesto quanto è
disonesto celebrarlo come un grande trionfo. Al governo comunque resterà
Theresa May, e la sinistra-sinistra starà all’opposizione. Due blocchi sociali
e politici continueranno a fronteggiarli come ai “bei” vecchi tempi. Le
identità dei tifosi – spettacolare al proposito, nella sua ripetitività, il
dibattito sul punto tra le “due sinistre”, in Italia – troveranno comunque il
modo di sentirsi corroborate dalla cristallizzazione dello scenario. Che questa
sia un bene, per il futuro del Regno Unito e di tutti noi, resta però tutto da
dimostrare
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