da: http://www.glistatigenerali.com/ - di
Francesco Francio Mazza
Quando andavo a scuola mi ero sempre
chiesto perché il cadavere di Mussolini fosse stato appeso in Piazzale Loreto.
Perché un atto di violenza simile? E perché
in Loreto e non in Duomo, o in un altro luogo ben più simbolico per celebrare
la fine del regime? Da adulto ho poi letto della strage di Piazzale Loreto
dell’estate del 1944, una di quelle cose su cui dovrebbe fondarsi la nostra
coscienza civile e che invece non viene neppure insegnata nelle scuole.
L’8 agosto 1944 un camion tedesco esplode in viale Abruzzi. L’attentato è molto strano, perché ferisce solo di striscio un soldato nazista, ma costa la vita a ben sei civili milanesi di passaggio. Ad ogni modo, i tedeschi ordinano la rappresaglia.
L’8 agosto 1944 un camion tedesco esplode in viale Abruzzi. L’attentato è molto strano, perché ferisce solo di striscio un soldato nazista, ma costa la vita a ben sei civili milanesi di passaggio. Ad ogni modo, i tedeschi ordinano la rappresaglia.
La mattina del 10 agosto, quindici ragazzi
di età inferiore ai 30 anni e detenuti per motivi politici vengono prelevati
dal carcere di San Vittore, portati in piazzale Loreto e affidati alla brigata
fascista Ettore Muti.
Ora: la storia di Ettore Muti e della brigata che porta il suo nome è altra cosa che andrebbe insegnata nelle scuole – perlomeno a Milano.
Ora: la storia di Ettore Muti e della brigata che porta il suo nome è altra cosa che andrebbe insegnata nelle scuole – perlomeno a Milano.
In vita, Muti fu un ragazzo che come tanti
venne affascinato dal primo fascismo in giovane età e che per il primo fascismo
combatté ovunque: aldilà del suo essere, appunto, un fascista, è difficile non
rimanere affascinati dalla sua figura di soldato ribelle, aviatore spericolato
e avventuriero futurista quando ancora non aveva neppure diciotto anni (la sua
vita è raccontata nel libro “Ammazzate quel fascista”).
Ma il secondo fascismo – quello successivo
al ’43, totalmente succube della Germania – con il fascismo di Muti, ma anche
di Marinetti e (in parte) di D’Annunzio, ha ben poco a che fare; una delle
prove è proprio Ettore Muti che, poco prima del Gran Consiglio del Fascismo che
sfiducia il Duce, fa recapitare un messaggio al fascista Dino Grandi che
dice: “se serve, lo ammazzo io”.
Viene pero’ ucciso da due carabinieri in
circostanze non chiarite e, da quel momento, la Repubblica di Salo’ (che Muti
avrebbe disprezzato, come disprezzava la Germania) ne fa un martire.
È per questo che, quando l’auto-nominatosi
“colonnello Colombo” fonda a Milano un corpo di polizia speciale arruolando il
peggior ciarpame della città, decide di intitolare la sua brigata a Muti: per
tentare di inglobarne lo spirito eroico e darsi una parvenza di presentabilità.
Ma la realtà è che lo stesso Resega – capo del fascismo a Milano – la
notte prima della fondazione della Muti lascia la Casa del Fascio di piazza San
Sepolcro urlando: per lui il fascismo ha un codice d’onore che gli eventi
successivi al ’43 stanno spazzando via, tramutandolo in una banda di
delinquenti senza freni che la brigata Ettore Muti rappresenta benissimo (il
giorno dopo Resega verrà ucciso in Corso XXII marzo, e la sua morte apparirà a
molti come un’altra coincidenza un po’ troppo strana).
La Brigata, quindi, non è altro che un
coacervo di delinquenti, criminali, tagliagole che il fascismo promosse al
ruolo di polizia e che si resero colpevoli, tra il ’43 e il ’45 di ogni genere
di torture e di violenze (marchio di fabbrica “la tortura del cassetto” in
cui, nella caserma vicino a dove ora si trova il Piccolo Teatro, ai sospettati
di cospirazione partigiana venivano schiacciati i testicoli dentro una
cassettiera).
La mattina del 10 agosto alcuni uomini
della Muti fucilarono in Piazzale Loreto i ragazzi prelevati da San Vittore e
poi, come se niente fosse, si misero a giocare a calcio, usando a un certo
punto, per scherzo, la testa di uno dei ragazzi uccisi. Ai genitori delle
vittime non fu permesso avvicinarsi e i cadaveri furono lasciati esposti sotto
il sole tutto il giorno, coperti di mosche ed escrementi, affinché l’orrore e
il fetore si imprimessero per sempre nella memoria civica milanese, su preciso
ordine del capitano delle SS Theodor Saevecke detto “il Boia” – che dopo la
Guerra venne arruolato dai servizi segreti americani e visse ricco e beato in
Germania fino a 93 anni, con il governo tedesco che ne negò, fino all’ultimo,
l’estradizione.
Ad ogni modo, è per questo che quando
Benito Mussolini venne catturato e ucciso, il cadavere fu portato a piazzale
Loreto: per provare ad esorcizzare, almeno simbolicamente, da parte di una
popolazione decimata e stremata, uno degli atti più terribili compiuti contro i
cittadini milanesi e contro tutti gli Italiani.
Atto che – come tanti altri – è stato
dimenticato, travisato, seppellito e strumentalizzato sotto un cumulo di
retorica inutile, che noi anche quest’anno, come l’anno scorso, abbiamo voluto
ricordare.
P.S.
A questo link
trovi un’altra storia del “25 Aprile dimenticato”, quella di Luigi Campegi e
della sua giacchetta spinata.
Brava, Velvet Paw.
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