domenica 7 febbraio 2021

La Chiesa ora elogia Draghi. Ma la sua visione si sposa con quella di Francesco?

 


da: Domani - di Marco Grieco

“Ora è il momento della saggezza nella scelta del futuro che vogliamo costruire”.

Era il 18 agosto 2020 e, aprendo il 40° Meeting di Rimini, il presidente incaricato Mario Draghi tracciava le linee programmatiche di quella che, in questi giorni, è diventata la sua missione: formare un governo. Conciso nelle parole così come nelle azioni, Draghi deve parte della sua formazione ai gesuiti. All’istituto Massimo, severa scuola romana, ha avuto come mentore il gesuita Franco Rozzi, il filosofo della sintesi, come lo definiscono gli ex alunni. L’ex presidente della Banca centrale europea sarà anche espressione di quell’approccio ignaziano che pure i gesuiti romani hanno recentemente rimarcato?

Uomo profondamente laico nel servire le istituzioni, Draghi appartiene allo stesso filone cattolico e democratico del presidente della repubblica, Sergio Mattarella. Al cortile di Santa Marta c’è chi apprezza l’estrazione cattolica dell’ex governatore di Bankitalia: su questo solco va collocata la nomina a membro della Pontificia accademia delle scienze sociali lo scorso luglio. Un anno prima, erano stati nuovamente i gesuiti a portare in auge Draghi, dedicandogli su La Civiltà Cattolica un lungo approfondimento dal sapore di endorsement: «Mario Draghi è stato protagonista di una delle fasi più complesse della storia recente d’Europa.

Il suo servizio come presidente della Banca centrale europea è stato decisivo per salvare l’Unione economica e monetaria, e grazie al suo contributo si presenta oggi la straordinaria opportunità di completarla», ha scritto il gesuita Guido Ruta, ricercatore presso la New York University. Nel 2016, Draghi era in prima fila nella sala regia del palazzo Apostolico quando papa Francesco riceveva il premio Carlo Magno, auspicando una giovinezza dell’Europa. Qualche tempo dopo, l’allora presidente della Bce si ricollegò così a quell’appello davanti agli studenti e professori dell’università Cattolica a Milano: «Il futuro della società dipende dal sentire il bene pubblico da parte dei giovani migliori e dall’impegno che profondono nel raggiungerlo», sottolineò.

Ma se i gesuiti vicini a Francesco parteggiano per Draghi, cosa rimane del sostegno di parte del mondo cattolico, vescovi italiani compresi, al premier uscente, Giuseppe Conte? Nelle scorse settimane era stata la stessa Cei a richiamare ai “costruttori” evocati dal presidente Mattarella, quando sembrava necessario puntellare Conte ed evitare, così, un trauma istituzionale per il paese. Eppure, scemando la garanzia istituzionale, anche l’appoggio dei vescovi è venuto meno, alimentando chi nella Cei non era poi così soddisfatto di Conte. Le operazioni estive del ministro del Conte II, Roberto Speranza, sulla pillola abortiva, per esempio, hanno alimentato il dissenso a tal punto che i buoni rapporti del premier uscente con la curia, nati nel cuore di Villa Nazareth, sono andati via via sfumando.

Ma l’eclissi di Conte non dirada la prudenza di alcuni presuli nei riguardi  del nascente Draghi. Fonti in Vaticano spiegano che si dovrà attendere la maggioranza politica per capire l’indice di gradimento del potenziale neo governo. La cautela d’Oltretevere ricalca quella manifestata nel 1993 con Carlo Azeglio Ciampi: anch’egli chiamato alla costruzione di un governo del presidente, l’ex governatore di Bankitalia era espressione di un cattolicesimo non expressis verbis, seppure non ostile alla Santa sede: «Una fede semplice, non gridata, e tuttavia salda e praticata con discrezione e rispetto – è stata come un filo rosso che ha legato e ispirato tutti i suoi giorni perché li spendesse (…) per servire il bene comune del paese», ricordò mons Vincenzo Paglia alle esequie di Ciampi nel 2016. Il suo profilo coincide con quello di Draghi, suo successore a palazzo Koch. Il cattolicesimo di Draghi non è ostentato, sebbene in tanti abbiano rimarcato una comunanza di istanze fra Draghi e la Santa sede, ben prima dell’avvento di Francesco. Draghi ha espresso grande apprezzamento per la Caritas in veritate di Benedetto XVI, l’enciclica uscita nel 2009 agli albori di una delle peggiori crisi finanziarie mondiali.

La prudenza non è mai troppa

Fatta eccezione per i gesuiti de La Civiltà Cattolica, al momento a Oltretevere sono in pochi ad esporsi sull’attuale limbo politico-istituzionale. Taluni invitano alla prudenza: come potrebbe leggere Draghi le inquietudini economiche e sociali dei nostri tempi? La sua politica meno assistenzialista e più produttiva sarà in sintonia con il trinomio tierra, techo y trabajo di papa Francesco, tanto quanto la sua richiesta di un salario universale per i lavoratori più umili, spesso evocato? «In molti casi i policymaker devono agire consapevoli che le conseguenze delle loro decisioni sono incerte, ma convinti che l’inazione porterebbe a conseguenze peggiori e al tradimento del loro mandato», ricordava Draghi agli studenti della Cattolica. Tanto in lui quanto in Bergoglio, speranza e ricostruzione sono parole pragmatiche, che richiedono un agire comune: per questi cambiamenti, servono discernimento e ponderazione. L’ex presidente della Bce deve ancora dimostrarlo, anche se le sue premesse sembrano una garanzia.

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