sabato 6 febbraio 2021

Domenico De Masi: Con Draghi al governo diremo addio al Welfare

 


da: Il Fatto Quotidiano

Il 23 febbraio 2012, mentre la Grecia era al collasso e il mondo intero versava in una crisi globale, Mario Draghi dichiarò al Wall Street Journal: “Quel che si profila in Grecia è un nuovo mondo che abolirà il vecchio regime e ci libererà dei sepolcri imbiancati. All’esterno paiono belli ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni marciume. Lo stato sociale è morto”. Lo stato sociale era quello inaugurato nel 1945 dal governo laburista inglese e impostato tre anni prima dal sociologo William Beveridge, secondo cui “il welfare aiuta a liberare la società da quattro mostri: bisogno, malattia, ignoranza e squallore”.

Da quel momento in poi la sinistra ha coinciso soprattutto con la socialdemocrazia e la destra con il neoliberismo; la sinistra ha messo al primo posto lo Stato e la riduzione delle disuguaglianze attraverso l’equa distribuzione della ricchezza per sconfiggere quei quattro mostri; la destra ha privilegiato il mercato e ha puntato sulla concorrenza per creare quanta più ricchezza possibile, a prescindere dalla sua equa distribuzione e dal dilagare dei mostri.

Prima ancora che Draghi salisse al Quirinale, già il sito di Repubblica ha scritto: “Per gli investitori, Mr. Whatever it takes è la migliore opzione per governare l’Italia. Piazza Affari scatta fin dalle prime battute con le banche grandi protagoniste. Lo spread tra Btp e Bund cala vedendo la soglia psicologica di 100 punti base. Piazza Affari si conferma in rialzo oltre il 2% a metà mattina. Intesa Sanpaolo e Unicredit volano del 5 per cento”.

Il welfare è stata la risposta socialdemocratica, cioè riformista e umanitaria, alle sfide della società industriale, alle rivendicazioni sindacali, alle istanze religiose, alla lotta di classe, alle spinte rivoluzionarie. È stato il massimo che il capitalismo ha potuto consentirsi per mostrare un volto umano pur restando capitalismo. Ma è stato il minimo che il socialismo ha potuto ottenere per restare socialismo nei paesi capitalisti.

I socialdemocratici ritengono che ogni cittadino, per il semplice fatto di essere stato messo al mondo senza la sua volontà, abbia il diritto di sopravvivere decorosamente anche se non è produttivo perché minore, vecchio o inabile; i neoliberisti, sulla scia di Laffer e Kuznets, ritengono prioritario consentire ai ricchi di arricchirsi: prima o poi la loro ricchezza sgocciolerà ad alleviare i poveri.

In Italia abbiamo avuto un’eloquente cartina al tornasole (il reddito di cittadinanza) per capire a primo colpo se un nostro interlocutore è neoliberista o socialdemocratico. Matteo Renzi, il cattolico boy scout, è sempre stato contrario all’articolo 18 destinato ai proletari e al reddito di cittadinanza destinato ai sottoproletari, mentre ha accarezzato la classe media con 80 euro e ha dichiarato di trovarsi a suo agio con Marchionne, che guadagnava 1037 volte più dell’operaio della Fiat, piuttosto che con la Camusso che guadagnava quanto un metalmeccanico.

Il 2 febbraio 2021 l’ultimo governo larvatamente socialdemocratico ha ceduto il passo al primo governo compiutamente neoliberista. La pandemia, che nelle mani di Beveridge avrebbe portato al governo i laburisti, nelle mani di Conte e Zingaretti ha portato al governo il centro-destra. Il tripudio dei giornali della Fiat ha subito accompagnato quest’esito a lungo corteggiato e accortamente preparato.

Chapeau a Renzi, stratega neo-dadà che prima ha tentato di portare a destra tutto il Pd senza riuscirci; poi si è illuso di attrarre la destra in un partito tutto suo, facendo flop; ora è riuscito a riunire sotto la bandiera di Draghi una destra meno becera di quella salviniana, di cui lui detiene il brevetto.

Nel campo avverso restano i cocci di due formazioni politiche frastornate dalle imboscate di Renzi, disorientate dalla mancanza di un modello di società da proporre al Paese, fiaccate dalla carenza di cultura politica e tecnologica. Un Pd che non sa cosa sia il postmoderno e un Movimento 5 Stelle che non sa chi sia Gramsci. Entrambi incapaci di agire secondo i ritmi e i bisogni di una società ormai postindustriale e di comunicare bene persino le poche cose buone che siano riusciti ad abbozzare.

Quando, fra qualche giorno, potremo leggere il Recovery plan di Draghi, comparandolo con quello di Gualtieri avremo la misura metrico decimale, palpabile, della virata verso il neoliberismo in versione squisitamente bancaria. Chi sognava ingenuamente che dall’azione congiunta di Pd e 5Stelle potesse nascere la prima socialdemocrazia del Mediterraneo, può mettersi l’anima in pace e prepararsi a una lunghissima marcia per formare una classe dirigente di sinistra mentre i poveri, aumentati nel numero e peggiorati nella condizione, avranno imparato a distinguere tra chi li ama e chi li odia.

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