mercoledì 24 febbraio 2021

Gianfranco Pasquino: I Cinque stelle servono ancora a qualcosa?

 


da: Domani

Raramente un Movimento politico è stato tanto ferocemente e quasi unanimemente criticato come il Movimento 5 stelle. Quelle critiche non rendono giustizia al ruolo complessivamente svolto dai Cinque stelle nel sistema politico italiano di ieri, di oggi e di domani.

“Vaffa” non è mai stato il mio modo di esprimere una valutazione della classe politica italiana. Che, però, Beppe Grillo traducesse in quell’invito la grande e diffusa insoddisfazione di una larga parte degli italiani è oramai accertato. 

Meno noto è che grazie alle liste delle Cinque stelle nel 2013 una parte consistente di elettori che, altrimenti, si sarebbero astenuti, scelse di andare alle urne. Con il loro voto quegli elettori hanno comunicato la richiesta di cambiamenti profondi ancorché, inevitabilmente, non molto precisi. Selezionare fra le domande è, per qualsiasi classe politica, uno dei principali compii da adempiere. Che un Movimento votato da un italiano su tre nel 2018 sia molto composito è inevitabile proprio come anche che la sua leadership sia divisa su non poche scelte rilevanti. 

Qualcuno, e mi colloco fra questi, ritiene che la dialettica di posizioni è un contributo importante al funzionamento di un sistema politico e, se mantenuta entro (in)certi limiti,

anche delle coalizioni di governo. Questa dialettica è stata interpretata come uno scontro senza possibilità di conciliazione fra l’ala governista e gli ortodossi. Penso che questa contrapposizione sia limitativa e sbagliata. 

Vedo, da un lato, non un’ala che vuole stare a tutti i costi al governo (governista), ma che intende governare (ala governante) per tradurre alcune sue priorità programmatiche in politiche pubbliche; dall’altro, un’ala che preferisce “non sporcarsi le mani” in attesa forse di avere ancora più voti e più seggi.

L’ortodossia, comunque difficile da valutare, è spesso testimonianza senza profitto (ma gratificata da molte photo opportunity). L’ala governante può vantare qualche successo: il reddito di cittadinanza, il ministero della Transizione ecologica, l’abolizione dei vitalizi, il taglio del numero dei parlamentari.

Sono molto critico di tutto quello che discende da una critica populista e antiparlamentare, ma non posso non riconoscere che il taglio dei parlamentari obbliga a pensare a come strutturare meglio la rappresentanza politica, certamente non imponendo un impraticabile vincolo di mandato, e a come rendere più spedito il lavoro parlamentare, improbabilmente con il limite ai mandati.  

Non credo che le votazioni sulla piattaforma Rousseau costituiscano un fulgido esempio di democrazia diretta. Tuttavia, a fronte dei cambi di linea di alcuni partiti decisi sostanzialmente dal leader (Berlusconi, Salvini, Renzi) o da pochi notabili, il coinvolgimento di 70mila attivisti mi pare importante. Probabilmente questo esercizio di partecipazione, che dovrebbe essere meglio strutturato, produce effetti a cascata di diffusione di informazioni politiche nient’affatto da sottovalutare. Le molte critiche alle pratiche democratiche dei Cinque stelle dovrebbero essere estese anche alle pratiche non democratiche dei concorrenti. Non ritengo democratica la pratica delle espulsioni, ma se giustificabili con riferimento al (non) Statuto ne prendo atto pur continuando a ritenerle politicamente sbagliate. 

Non credo affatto che né la scomparsa dei Cinque stelle né il loro ridimensionamento a cespuglio renderebbero migliore il funzionamento del sistema politico. Al contrario, in parte squilibrerebbero il sistema a favore della destra, in parte indebolirebbero l’attenzione su alcuni gravi fenomeni sociali quali povertà e condizione dei giovani. Non bisogna chiedere ai Cinque stelle di uniformarsi a quello che esiste, ma continuare a criticarli, tutte le volte che si offrono, per le loro inadeguatezze.

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