mercoledì 2 dicembre 2020

Mariangela Pira: Anno Zero d.C. / 3

 


 L’accelerazione dovuta al Covid-19

 Il dato lampante, che emerge con evidenza, è che la pandemia da Covid-19 e il lungo lockdown che ne è seguito hanno messo a dura prova l’economia italiana e la sopravvivenza di moltissime aziende.

La prima ripercussione sulla vita di molti lavoratori è stata lo smart working. Secondo la Cgil, prima che questo virus si affacciasse prepotentemente nelle nostre vite, a lavorare da casa erano in 500.000 lavoratori, dopo sono diventati 8 milioni. Una necessità obbligata, per far fronte a un evento che nessuno poteva prevedere. Come sottolineato dal ministero del Lavoro, la pandemia ha spinto molti a «un radicale e repentino ripensamento dell’organizzazione del lavoro», 2 anche se non tutti erano pronti e per alcuni è stato un vero shock. Forse è per questo motivo che molti torneranno alla vecchia impostazione mentre altri, seguendo gli esempi di chi stava già sperimentando nuovi modi di concepire il lavoro, proveranno a mantenere in parte o addirittura totalmente la possibilità di lavorare in smart working. Forse il segreto di chi sopravvivrà sarà la capacità di adattarsi e di gestire il cambiamento rendendolo qualcosa di positivo, anziché subirlo passivamente.

«Smart working» non significa solo lavorare dalla propria abitazione, ma con tempi e spazi più flessibili, che garantiscono più inclusione. Come ha osservato Gianrico Carofiglio, «l’idea dello scorrere lineare delle ore è un retaggio culturale che, con la pandemia, è stato definitivamente messo in crisi».

Quelli del lavoro smart o della palestra in casa – quanti siti e canali YouTube dedicati alla pratica di yoga o pilates sono fioriti durante il lockdown? – sono solo due esempi possibili, però spiegano bene come il tempo e lo spazio abbiano un costo differente a seconda dell’utilizzo che se ne fa, e come l’economia abbia subito un’importante mutazione nel 2020.

Osservando la vita quotidiana di tutti noi, balza all’occhio come quest’anno sia stato uno spartiacque per molti altri aspetti. È entrata nelle nostre case l’economia dell’intangibile: non quella tradizionale, fatta di cose che possiamo toccare e vedere, ma quella della tecnologia, che non si vede eppure c’è e permea gran parte delle nostre vite.

Non è un caso che l’indice Nasdaq, che racchiude tutte le principali società tecnologiche, se la sia cavata meglio degli altri. Né che la capitalizzazione, ovvero il valore di Borsa, della società di videoconferenza Zoom al 30 maggio 2020 fosse pari a quello delle prime sette compagnie aeree mondiali. Mai come quest’anno economia, finanza e digitale sono andati a braccetto e sono stati la metafora di una crisi cui si può e si deve reagire.

Ciò che non sono riusciti a fare in decenni gli ambiziosi piani aziendali, è riuscito al Covid-19 in un colpo solo. Le aziende non hanno avuto più scuse e si sono trovate costrette a digitalizzarsi, tecnologizzarsi, fare un salto di qualità. In un contesto difficile come quello che abbiamo vissuto, lo vedremo meglio nel capitolo dedicato al risparmio, si è fatta più attenzione a come allocare i capitali: la finanza li ha distribuiti alle imprese più promettenti, visti i tempi. È cambiato il modello di rischio: si è azzardato meno, è vero, ma dove si è visto il valore si è continuato a investire.

Sono cambiati il ruolo e la percezione dell’Europa, così come il rapporto tra le superpotenze. Il rischio che aumentino le disuguaglianze è cresciuto. L’opportunità di guardare maggiormente all’ambiente che ci circonda e di investire in energie rinnovabili si è palesato con forza. Milano, messa in ginocchio dal Covid-19, durante il lockdown ha visto l’indice dell’inquinamento diminuire e ha capito che quello era il momento giusto per cambiare il modello organizzativo della metropoli. Ripartenza, oggi, significa puntare su nuovi modelli di software, infrastrutture innovative, trasporti sostenibili, indotti e posti di lavoro calibrati sui nuovi bisogni.

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