da: https://www.tag43.it/ - di Stefano Grazioli
Embargo sì, embargo no. Petrolio si, gas no. Non c‘era bisogno della guerra energetica tra Russia e Occidente, nata dalla costola di quella vera in Ucraina, per capire che l‘Unione Europea è disunita. Nonostante le belle parole di unità sventolate a ogni piè sospinto dalla presidente della Commissione Ursula Von der Leyen, ogni Paese membro fa in realtà un po‘ come gli pare.
Perché il taglio europeo dell’import russo non colpisce Putin
In primo luogo la riduzione dell‘import del petrolio russo entro la fine dell‘anno è una barzelletta che ha fatto ridere Vladimir Putin, pronto a sostituire subito l‘export verso l‘Europa con quello verso India e Cina, oltre al fatto che la risalita dei prezzi, cominciata tra la fine della pandemia e l’inizio del conflitto, permette a Mosca di incassare di più esportando di meno. In secondo luogo la questione del gas è completamente irrisolta, a Bruxelles nessuno ha trovato il bandolo della matassa e nelle capitali europee ciascuno va per la propria strada, Italia e Germania in primis, facendo dormire sonni tranquilli, da questo punto di vista, al Cremlino.
Che comunque manda segnali, proprio a coloro che ancora non hanno rinunciato al gas russo: chi lo poteva fare l’ha già fatto, dalla Bulgaria agli Stati baltici, passando per qualche altro Paese che ha un mix energetico dove l’oro azzurro conta poco e può essere facilmente sostituito. Senza contare i furbetti polacchi, con Varsavia che ha chiuso i conti con Mosca, ma compra gas russo di ritorno dalla Germania, soprattutto per riempire gli impianti di stoccaggio in vista del prossimo inverno. Già, perché se ora sta arrivando l’estate, è sicuro che l’Unione Europea dovrà affrontare l’inverno, duro o meno sarà da vedere.
È partita la corsa per aumentare le scorte in vista del prossimo inverno
Intanto appunto è partita la corsa per aumentare le scorte, facendo ricorso in primo luogo al gas più facilmente reperibile e ancora meno caro, anche se sul mercato spot in prezzi continuano a rimanere alti, e cioè a quello russo. In molti Paesi, come la Germania, mancano le infrastrutture per l’import di gas naturale liquefatto, per cui il distacco dalla Russia si fa per forza di cose a tappe. Lente e sempre con la benedizione del Cremlino e di Gazprom, che non si dimentica di avvertire che il coltello dalla parte del manico è sempre a Mosca: in questo senso sono da interpretare le riduzioni del flusso attraverso Nord Stream 1, il gasdotto che collega direttamente Russia e Germania, dovute ufficialmente a lavori di manutenzione. Si tratta però più di fumo che di arrosto, visto che a Putin interessa comunque continuare a vendere gas per rimpinguare le casse statali sotto pressione per le sanzioni occidentali.
In 100 giorni di guerra Mosca ha incassato con l’export di energia 100 miliardi di euro
È
la famosa dipendenza simmetrica che attraverso i tubi tiene legati gli amici di
un tempo diventati oggi nemici. È evidente che i rapporti anche energetici
vanno verso un allentamento, con i Paesi europei alla ricerca di fonti e vie
alternative e la Russia verso nuovi mercati a Oriente, ma la tempistica,
soprattutto con la guerra in corso, pare più favorevole a Mosca. Visto che in
ogni caso le sanzioni su petrolio e gas, al pari del blocco del secondo braccio
di Nord Stream prima della sua partenza effettiva, non hanno sortito nessun
effetto su Putin, che nonostante le minacce prima e i fatti poi, se ne è
infischiato e sta proseguendo la guerra in Ucraina secondo i suoi piani, con
quasi 100 miliardi di dollari guadagnati dall’inizio del conflitto con l’export
di energia. Se nei mesi estivi l’Europa può sorvolare sui piani di riduzione
dalla dipendenza russa più annunciati che realizzati e comunque pieni di
incognite, a cominciare dai progetti di risparmio ed efficienza, dopo l’autunno
arriveranno i rischi maggiori della guerra del gas, che oltre ad avere portato
i prezzi alle stelle, entrerà davvero nel vivo, dato che quello che si è visto
finora sono stati solo gli anticipi primaverili di un conflitto scoppiato alla
fine di febbraio durante un inverno mite.
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