L’urlo
televisivo di Ciccarelli Ivano
contro «sta rottura de cojoni dei
fascisti» è la nuova Corazzata Potemkin, la fine del matrimonio innaturale
tra la sinistra e le buone maniere. Il vocione di Ivano è risuonato su La7 da
Rocca di Papa, dove davanti al centro di accoglienza che ospita i reduci della
«Diciotti» si fronteggiano rossi e neri come in uno spettacolo in costume
ambientato nel secolo scorso: «Sti poracci, oltre a tutta la navigata, la sosta
e dieci ore de pullman, quando arrivano qua se devono pure godé sta rottura de
cojoni dei fascisti». Tanto è bastato perché sul web, in poche ore, Ivano
diventasse l’ idolo di quella porzione d’ Italia smarrita che il 4 marzo ha
votato Di Maio, o nessuno, proprio per mancanza di Ivani.
Ivano incarna anche fisicamente una
sinistra «vintage»: la barba da assemblea, la maglietta sformata, l’ eloquio
rude e il cuore tenero. È figlio di un operaio e di una contadina dei Castelli
Romani che gli hanno insegnato - dice - il rispetto per i più deboli.
Il
contrasto con i liderini democratici
di ultima generazione - camicia
immacolata, cravattina scura, smania di riconoscimento sociale e linguaggio
raffreddato dagli scrupoli del politicamente corretto - non potrebbe essere più
schiacciante. Mentre i politici di destra parlano come i loro elettori, quelli di sinistra non parlano più come
Ivano né soprattutto a Ivano. Per questo parlano invano.
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