Federico Aldrovandi e la propaganda per decreto nel dl Sicurezza
di Fabio Anselmo
Sono andato in Comune, a Ferrara, per
andare a trovare Patrizia Moretti ma il suo ufficio era vuoto. Ha preferito
prendersi un giorno di permesso e rimanere a casa come è naturale che sia. È
una giornata, questa, terribilmente triste e dolorosa per lei e per Lino
Aldrovandi.
La mattina del 25 settembre di 13 anni fa
il loro figlio primogenito, Federico, perdeva la vita per mano di 4 agenti di
polizia durante un intervento in via Ippodromo di Ferrara. Due manganelli rotti
e 54 lesioni sul povero corpo di quel ragazzo “ciascuna delle quali
suscettibile di autonomo procedimento penale”, come scrissero i giudici.
Ancora i giudici scrissero che se la
famiglia non avesse denunciato pubblicamente quanto accaduto al loro figlio, se
non si fosse più volte rivolta ai media sollecitando l’attenzione dell’opinione
pubblica, la morte di Federico Aldrovandi si sarebbe chiusa in un altro caso di
negata giustizia.
Il faro acceso dall’opinione pubblica su
quella drammatica vicenda giudiziaria è stato determinante. Un nobile esercizio
di quel controllo pubblico che deve essere sempre garantito dalla Giustizia
che, non dimentichiamolo, viene amministrata in nome del popolo italiano.
Soprattutto quando lo Stato processa se stesso e, cioè, quando si tratta di
violazione dei diritti umani, dei diritti fondamentali dell’Uomo.
Come tutti ben sanno quel processo è
terminato nelle aule giudiziarie con la definitiva condanna degli agenti a tre anni e sei
mesi di carcere. Grazie all’indulto di quegli anni rimasero
da scontare, per i responsabili, solo sei mesi.
Ma per Patrizia e Lino il processo non è
mai finito, anche quando la Giustizia ha fatto il suo corso. Hanno continuato
ad essere offesi e provocati così come ha continuato ad essere vilipesa la
memoria del loro figlio scomparso da parte di coloro che non ritengono
tollerabile dover riconoscere il più sacro ma anche banale fondamento della
nostra democrazia: la legge è e deve essere uguale per tutti. Chi ha sbagliato,
chiunque esso sia, porti una divisa o meno, deve essere chiamato ad assumersi
le proprie responsabilità.
Quella che io chiamo la contro-informazione
o, meglio, propaganda, non ha mai cessato di suonare la gran cassa per
esprimere, spesso con toni violenti, tutta la propria indignazione per il fatto
che si potessero processare dei poliziotti per la morte di Federico. Un paio (e
non tutte) le sigle sindacali di Polizia si sono particolarmente distinte con
veementi prese di posizione pubbliche addirittura contro la città di Ferrara,
il tutto in corso di processo. Ci hanno offesi più volte dandoci dei calunniatori
ed urlando a gran voce che “questa città non ci (li) merita”. Federico era un
energumeno morto di droga anche se le analisi rifatte negli attrezzatissimi
laboratori di Torino (quelli delle Olimpiadi) lo avevano completamente escluso
non rilevandone pressoché traccia alcuna.
Alcuni leader sindacali ci hanno costruito
su la propria carriera politica. Ma per loro il caso Aldrovandi è sempre una
spina nel fianco. Non si parlava più dei fatti della Diaz o di Bolzaneto del G8
di Genova che erano stati ben mimetizzati, nell’immaginario collettivo,
dai disordini di piazza che si erano verificati in quei giorni. Si parla di un
ragazzo che aveva appena compiuto 18 anni, di buona famiglia, incensurato, che
non aveva mai fatto del male a nessuno, che andava bene a scuola e socialmente
impegnato. Padre ispettore di Polizia Municipale, madre impiegata comunale.
Nonno Carabiniere.
“Lo abbiamo pestato di brutto per
mezz’ora…”, diceva al telefono uno degli agenti condannati con voce affannata
mentre riferiva alla propria Centrale su quanto era appena accaduto.
La morte di Federico non poteva essere
sepolta dalle banalità dei luoghi comuni di facile presa. Esigeva Verità e Giustizia.
L’8 settembre 2007 si tiene il primo
Vaffaday di Beppe Grillo, sempre vicino ai nostri temi. Siamo a Bologna, piazza
Maggiore. Davanti ad una folla oceanica Beppe chiama sul palco Patrizia e Lino
e dice: “Mi dispiace… dite la vostra, raccontate quello che avete passato”.
Oggi, 25 settembre 2018, viene mandato al Presidente della Repubblica il Decreto
Sicurezza.
La propaganda della contro-informazione
pare aver vinto. Sembra che il rispetto dei diritti umani non possa e quindi non
debba essere garantito a tutti. Soprattutto se si tratta dei più deboli, degli
ultimi. La loro violazione è un danno collaterale assolutamente necessario per
la sicurezza ed il benessere dei cittadini. Sicurezza e benessere costruiti
sulla sofferenza altrui. “Prima noi che loro”. Ma “loro” siamo noi.
Il messaggio colpisce e centra il cuore di
una popolazione sempre più vecchia attraverso la chiave della paura.
Man mano che invecchi hai sempre più paura.
È naturale. Hai paura della morte e quindi della vita stessa. Ti senti sempre
più indifeso anche se magari non hai bisogno di nessuna difesa se non quella
della serenità.
Più semplice allora dare un volto a quella
paura per tentare di esorcizzarla. Un volto qualsiasi da temere ed odiare. Il
volto del prossimo.
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