Conti
Stellari
di Davide
Giacalone
Nel dubbio che possa avviarsene un’altra
ancora non s’è dismessa la precedente campagna elettorale. Più d’uno è rimasto
in servizio propagandistico permanente effettivo. La cosa più comica, in questo
gioco al rilancio, che vedemmo e denunciammo fin dagli albori di quella
conclusasi, è che in cotale campagna si accusa di pregiudizio chi prova a
formulare un giudizio sulle cose che vengono dette.
Non credo che il Movimento 5 Stelle abbia
sbancato al Sud sol perché ha promesso il reddito di cittadinanza. Ha influito,
quella promessa, eccome. Negarlo è illogico, fa a cazzotti con l’evidenza. Ma
non è stato il solo elemento. Il sapore principale è quello del voto contro:
contro i politici, la politica, i governi, i conti, i vincoli, la realtà che
non piace. La prevalenza dell’ingrediente “contro” è quel che fa somigliare
diverse minestre attualmente in cottura, nel mondo occidentale. Tema decisivo,
ma qui lo accantono (non si dica che non lo si vide, perché quel che scrissi in
“Viva l’Europa Viva” mi pare largamente confermato, a tal proposito). Qui mi
concentro sulla parte costruttiva del programma pentastellato. Sulle loro
proposte economiche. Posso farlo? Molti lo negano, dicono che se si fanno delle
critiche loro aumentano i voti, che è pericoloso saper far di conto, che è
pretestuoso prenderli in parola. Ragionamenti, questi (non i loro), da matti.
Lo faccio.
1. Il reddito di cittadinanza. Il concetto
è che chiunque abbia un reddito inferiore a 780 euro, o non lo ha affatto,
riceverà la differenza dallo Stato. Diventano 1560 se ha coniuge e figlio a
carico. Il tema non è (solo) quanto costa e dove si prendono i soldi, ma: è
giusto? Aiutare le persone in difficoltà lo è, ma questo esiste di già. Si può
far meglio, certo, ma quella che propongono è una cosa diversa, tanto che essi
stessi prevedono un aumento delle domande, rispetto a quelle ora esistenti per
indigenza. Il che pone un primo problema: posto che la gran parte della
disoccupazione si concentra nelle aree con più alta economia irregolare e nera
(lo dico da uomo del Sud), non è che si crea una nuova professione, il senza
reddito, che a sua volta diventa un incentivo a tenere in nero ogni altra
attività?
2. No, rispondono i proponenti, perché ci
sono meccanismi capaci di bloccare questa degenerazione. Ad esempio: il
sussidio si perde se si rifiuta per tre volte un lavoro. Giusto, esiste anche
in altre legislazioni europee. Il guaio è che, secondo i proponenti, le offerte
di lavoro devono essere “eque e vicine al luogo di residenza”. Il concetto di
vicinanza ha un senso, perché per pochi soldi non posso spostarmi troppo, ma in
quello di equità è compreso anche il rispetto delle mie aspettative e
vocazioni. Il tutto a cura di uffici del lavoro e funzionari pubblici, che non
esistono e dove esistono già non funzionano. Temo che, in questo modo, il fatto
che si crei una categoria di professionalmente mantenuti non è neanche un
rischio, ma una certezza.
3. Pagare questa roba, comunque, dicono i
proponenti, non sarebbe un problema. Per le seguenti ragioni: a. non appena il
sistema sarà funzionante molti vorranno giovarsene, il che li sposterà dalla
categoria degli scoraggiati e inerti a quella dei disoccupati; b. aumentando
(di molto) i disoccupati cresce anche il prodotto interno lordo potenziale,
perché se molte più persone chiedono di lavorare la ricchezza complessiva
potrebbe crescere di più, se solo ci riuscissero; c. siccome il deficit
strutturale si calcola sul pil potenziale, ne deriva che aumentando i
disoccupati aumenta anche il possibile deficit; d. con il quale, rispettando le
regole europee, si potrà pagare il reddito di cittadinanza. Fine del riassunto:
è uno scherzo? Aumentando la spesa assistenziale e improduttiva si aumenta solo
il debito, che è l’ultima cosa di cui abbiamo bisogno. Inoltre una tale
trovata, sicché tutti i cittadini con più di 15 anni e meno di 65 possono
essere contabilizzati come disoccupati, così incrementando il reddito
nazionale, non appare destinata a essere letta come un geniale trovata
economica, ma come un grossolano raggiro.
4. No, dicono i proponenti, questo è
pregiudizio e ignoranza: aumentando la disponibilità di denaro aumentano i
consumi, che a loro volta spingeranno l’economia. L’ho già sentita, questa. È
la teoria che regge tutti gli spendaroli dei soldi altrui, dal vecchio
clientelismo democristiano al giovane virgulto degli 80 euro. Sono andicappato,
nel seguirli, perché Keynes l’ho letto e so per certo che non fu mai keynesiano
al loro modo. Ma lasciamo perdere, che si parla delle letture ci si ritrova
nella lobby globalista ed elitaria. Non funziona, per una ragione che potete
andare a constatare personalmente, in migliaia di mercatini e discount: chi ha
pochi soldi, ovviamente, compra quel che costa meno, il che significa babbucce
cinesi, vestiti fatti nel sud est asiatico e alimenti a basso valore aggiunto
(non a caso la “povertà”, nel nostro mondo, si accompagna non alla
denutrizione, ma all’obesità). Morale: esporteremo soldi del contribuente verso
produttori di roba a bassa qualità. Forse non quel che si propongono i
proponenti.
5. Tanti investimenti (parlano di 50
miliardi) pubblici, per “innovazione, energie rinnovabili, manutenzione del
territorio, contrasto dissesto idrogeologico, adeguamento sismico, banda
ultralarga, mobilità elettrica”. Ora, a parte che si potrebbe utilmente
ristudiare la storia dell’Iri e di come funzionò all’inizio (è vero, c’era il
fascismo, ma Beneduce seppe lavorare, e funzionò anche dopo, ma solo fino a un
certo punto), resta un problema: se si aumenta sia la spesa corrente per sussidi
che quella per investimenti, da dove arrivano i soldi? Neanche dall’avere
trovato gas e petrolio, direi, vista la passione per le rinnovabili. La somma,
che fa il totale, comporta un aumento considerevole del debito. Ma se cresce il
debito, alla vigilia della chiusura dello scudo Bce, crescono i tassi
d’interesse e i soldi li buttiamo tutti nella fornace del costo del debito.
Spero non sia osservazione troppo pedante ed elitaria, ma i conti se ne fregano
dei pretesi rivoluzionari.
6. Riduciamo l’orario di lavoro, in modo da
contrastare la robotizzazione e lavorare più numerosi. A conforto di tale
teoria è portata una affermazione: i tedeschi lo stanno facendo. Per la
cronaca: i tedeschi hanno fatto l’opposto e non lo stanno facendo manco per
niente, quello cui si fa riferimento è un contratto pilota che assicura ai
lavoratori di quel settore una doppia possibilità: i. diminuire l’orario di
lavoro a 35 ore settimanale mantenendo inalterato il salario, ma solo per due
anni e per motivi familiari; ii. aumentare l’orario di lavoro, incassando un
salario più alto. Curiosamente la prima cosa è raccontata senza limiti
temporali e la seconda del tutto cancellata. L’Italia perde competitività da
molti anni, la discesa è iniziata negli anni 80, comportando un progressivo
rallentamento della crescita, fino alla recessione. Se diminuisci l’orario di
lavoro a parità di salario la produttività scende ancora. E’ una teoria
d’impoverimento. In quanto al fatto che lavorando di meno si bloccherebbe la
robotizzazione, sarei portato a credere l’opposto. Semmai è il progresso
tecnologico a far diminuire la necessità di lavoro e aumentare la produttività
(si pensi alla zappa e al trattore).
7. Si devono far crescere i salari. Giusto.
Lo ha detto anche la Bce. Ma, occhio: se i salari crescono facendo lievitare i
costi di produzione non aumenteranno l’occupazione e la ricchezza, ma le fughe.
I salari devono crescere facendo scendere la pressione fiscale e previdenziale,
il che comporta una diminuzione delle esigenze di finanza pubblica, quindi meno
spesa, meno deficit e meno debito. Più o meno l’opposto di quel che viene
proposto.
Non ho pregiudizi, ma rivendico il diritto
di far funzionare la testa. Mi dicono: vanno messi alla prova. Giusto, hanno
vinto, si accomodino. Tocca a loro trovare il modo, con compromessi
parlamentari. Ma non è che, siccome vanno messi alla prova, ciò significa che
non si debba fiatare per una decina d’anni. Se lo tolgano dalla capa. Non è
stato concesso a Berlusconi, non è stato concesso a Renzi, non sarà mai
concesso a nessuno. E se reagiscono con una caterva di messaggi social, dandoti
del nemico del popolo, pazienza: dialogo sempre con piacere, me ne impipo degli
insulti e riconosco da lontano gli eroi del copia e incolla. Vincere le
elezioni (ancora complimenti) significa avere più forza per tradurre in pratica
le proprie idee, non significa che chi è democratico debba inchinarsi a quelle
idee. Quella è una zuppa diversa, vagamente ributtante.
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