martedì 21 settembre 2021

GKN, ora tutti invocano il decreto fermato da Giorgetti&C.

 

 

da: Il Fatto Quotidiano – di Carlo Di Foggia

Nei ministeri giurano che il lavoro non si è mai fermato. E infatti, coincidenza pare, ieri la decisione del tribunale di Firenze che bocciava i 422 licenziamenti via mail della Gkn di Campi Bisenzio è arrivata mentre a Palazzo Chigi i tecnici di Lavoro e Sviluppo discutevano la bozza del decreto anti-delocalizzazioni con i consulenti di Mario Draghi. Eppure è indubbio che il testo, che sembrava imminente a fine agosto, è sparito dai radar. La sentenza di ieri (oltre a far scoprire alla politica che esiste un conflitto sociale che attraversa l’Italia che si de-industrializza) riesce nell’impresa di farlo tornare in auge, anche se in una forma assai annacquata. E non è detto che basti a superare l’ostruzionismo di Lega e Forza Italia.

Breve riassunto. Il testo, a cui hanno lavorato il ministro del Lavoro Andrea Orlando e la viceministra (M5s) allo Sviluppo Alessandra Todde ha preso forma dopo lo scoppio del caso Gkn e quello dei 152 lavoratori della Gianetti ruote di Ceriano Laghetto (per non dire della Whirlpool di Napoli) post fine del blocco dei licenziamenti deciso dal governo, ma è stato subito impallinato. Il leader di Confindustria Carlo Bonomi l’ha fulminato parlando di provvedimento “punitivo” e accusando Orlando e Todde di “colpire le imprese sull’onda dell’emotività di due o tre casi”. La sponda è arrivata dal ministro dello Sviluppo, il leghista Giancarlo Giorgetti, che ha fermato il testo e fatto filtrare ai giornali di aver appreso dalla stampa i contenuti (che invece erano stati ampiamente condivisi dalla sua

vice). A quel punto, a difenderlo sono rimasti solo il Pd e soprattutto la Todde, lasciata però sola dai 5Stelle, che non l’hanno considerata una battaglia prioritaria.

Ieri Giuseppe Conte è stato tra i primi a invocare le nuove norme, una svolta maturata forse già giovedì quando  è andato a Campi Bisenzio insieme a Todde. Ieri i giallorosa hanno chiesto al governo di intervenire. In caso di accordo, potrebbe addirittura finire – tramite emendamento – in uno dei tanti decreti in discussione in Parlamento. Lega e Forza Italia restano contrari, anche se parliamo di un testo che ha perso parti importanti: via la multa del 2% del fatturato e via pure la Black list che avrebbe impedito alle imprese interessate l’uso di contributi pubblici a qualsiasi titolo per tre anni. Quel che è rimasto è sostanzialmente un percorso obbligato che richiede alle multinazionali che vogliono delocalizzare una maggiore responsabilità sociale con tempi più lunghi e la previsione di misure compensative e un piano di re-industrializzazione. Nell’ultima versione i tempi si sarebbero accorciati da 6 mesi a tre con l’obbligo di presentare un piano di mitigazione delle conseguenze (sul piano, per così dire, della sanzione, è previsto il raddoppio dei costi di licenziamento previsti dalla legge Fornero). Neanche questo, però, basta agli addentellati confindustriali nel governo. Giorgetti, per dire, vorrebbe che i tempi non venissero allungati: prima si comunica l’avvio della procedura, poi si ragiona sulle mitigazioni. Tanto, come ha ribadito ieri il leghista, “la sentenza di Firenze dimostra che le norme ci sono e l’Italia non è un Far West”. Orlando e Todde, manco a dirlo, non sono della stessa idea e così i rispettivi partiti.

Resta da capire qual è quella di Draghi...

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