domenica 19 maggio 2019

Luigi Ciotti e Vittorio V.Alberti: Per un Nuovo Umanesimo / 3


 
Diventa ciò che sei
Identità e Umanesimo
di Vittorio Alberti

L’impoverimento, la solitudine, l’inefficienza, i privilegi e la corruzione generano rabbia e sfiducia, angoscia e paura. E se in una periferia disagiata, una persona oppressa da questi mali si sente fare - magari da un salotto televisivo - un discorso di civiltà, apertura, cultura, sentendosi accusata, sia pure indirettamente, di ignoranza e grettezza, questa persona giudicherà buonista quel discorso, retorica da ricchi che si possono permettere il lusso di essere, nel loro cinismo, «mentalmente aperti». Ecco perché le idee democratiche di progresso sono viste come «cose da privilegiati», da élite.
Cosa c’è alla base? La sfiducia in coloro che, non solo nel campo politico, hanno guidato, e nella validità delle loro affermazioni. Di qui la fame di giustizia che, naturalmente, diventa aggressiva perché nutrita da un senso di tradimento da imputare a quelle dirigenze le quali, a loro volta, essendo state selezionate, il più delle volte, non in base a formazione culturale e capacità esecutiva, non potevano rispondere alle grandi urgenze del nostro tempo, proprio per inadeguatezza, se non talvolta per corruzione.
Inoltre quei «ricchi» non hanno idee forti né nuove, né talora la credibilità per controbattere in modo convincente alle motivazioni, ora ragionate ora viscerali, a partire dalle quali prende forza, invece, non solo in Italia, la prospettiva sovranista.

La risposta a quei mali può essere invece un’altra, una risposta filosofica e popolare, che ponga il primato dell’istruzione generale. Mi riferisco anche alla povertà, la quale è sì materiale, ma letta in chiave intellettuale è il privarsi (farsi poveri) di idee fisse, di pregiudizi. In questo senso, come povertà di spirito, è la base per la più potente apertura mentale, per il più alto libero pensiero, che non significa «farsi ignoranti», bensì, al contrario, sviluppare la capacità di ricercare e riconoscere gli elementi di libertà della cultura. Il nuovo umanesimo, quindi, deve essere povero, nel senso intellettuale appena indicato, e nel senso sociale, poiché deve partire dalle e fra le persone impoverite.
In questo modo, la risposta sarà - e sarà percepita - come vera, autentica, seria, vicina alla periferia come al centro, e non solo proclamata, ma organizzata. Insomma, occorre ascoltare e analizzare quelle passioni oppositive e, partendo da qui, prosciugare gli argomenti di chi le fomenta e sfrutta. Occorre, insomma, dare la parola a chi soffre, altrimenti non avrà altra illusione che finire tra le braccia della demagogia sovranista o populista, come oggi si dice. Questa è un’operazione intellettuale, culturale.
I retori e i demagoghi ci sono sempre stati, e la democrazia non è solo una procedura, non è solo votare a maggioranza, ma la possibilità per le persone di prosperare nel diritto e nel dovere, in libertà e giustizia, ed è accrescimento generale del sapere.
Nel 2018 ha scritto bene il Censis: sovranismo psichico, italiani incattiviti, società disunita e, aggiungo, senza sogni né modelli. Il problema è intimamente culturale, e la cultura è l’argine prima del precipizio, perché l’ignoranza crea mostruosità sociali e politiche.

[..] Non si può contestare l’idea sovranista di identità senza insieme criticare quella globalista del neoliberismo alla quale, negli ultimi decenni, si sono assoggettate anche le forze di progresso intellettuali e politiche.
[..] Da un lato, la globalizzazione neoliberista, con la sua riduzione-a-uno che logora le diverse culture, dall’altro il sovranismo che innalza muri per difenderle. Salviamo le culture dalla prima e dalla seconda azione.
[..] Niente buonismo di maniera, né idee novecentesche riproposte come piagnistei, ma istruire tutti sulla nostra identità, dopo i decenni di degrado nel quale è precipitata l’offerta culturale, a partire dal linguaggio. La definizione adeguata è corruzione culturale.
La situazione è molto seria e minacciosa perché è in corso un cambiamento d’epoca storica, ed è urgente indirizzarlo con ambizione filosofica, che non significa «sapere elitario», ma discorso alla città: ecco l’humus e il popolo, al quale tutti apparteniamo.

Il demagogo promette sicurezza e benessere usando la fascinazione e gli umori; trasforma la politica nell’annuncio della promessa, e le persone - impaurite, disorientate, impoverite - comprensibilmente lo seguono. I demagoghi prosperano lì dove il ceto medio si impoverisce, e se si impoverisce il ceto medio la democrazia frana perché si corrode la possibilità delle persone di migliorare la propria condizione sociale.
Allora, da un lato, demagogia e retorica dei muri; dall’altro (quello dei «progressisti») incapacità di mettere in campo argomenti che non siano moralismi. Sullo sfondo, il nostro declino.
Occorre mettere a fuoco le attuali rivendicazioni morali di giustizia e libertà per costruire un’idea di progresso coerente con la vera identità culturale europea, e, dentro quella europea, l’identità italiana può offrire una enorme ricchezza in cui credere. Dico «credere» perché non crediamo più in niente. 

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