sabato 25 maggio 2019

Luigi Ciotti e Vittorio V.Alberti: Per un Nuovo Umanesimo / 5


 
di Luigi Ciotti  

Come può procedere un Paese quando a prevalere - a ogni livello e ambito - sono le divisioni, le rendite di potere, i calcoli e i piccoli cabotaggi? Quando la politica oscilla tra sdegnosi rifiuti e compromessi al ribasso? Quando la «crescita» che tutti auspicano è impedita da quella che troppi permettono: la crescita delle ingiustizie e delle diseguaglianze, della povertà e della disoccupazione?
Occorre un nuovo umanesimo che ci faccia superare gli egoismi, le rivalità, le contese. Che ci liberi dalla malattia del potere che tutto corrompe se non viene assunto con coscienza e responsabilità, se non viene vissuto come servizio.
Occorre un nuovo umanesimo che ci faccia guardare al di là di noi stessi, della sfera privata, che ci spinga all’interesse per il bene pubblico, per la vita comune e condivisa, che ci faccia osare orizzonti più grandi di quelli dell’io.
I mali di cui soffriamo sono sotto gli occhi di tutti, ma sono occhi spesso distratti, rassegnati o persino complici. L’esclusione dei giovani dal mondo del lavoro è il grande scandalo di questo tempo. Un segno di egoismo ma anche di ottusità, perché un Paese che non punta sui giovani è un Paese che sbarra la strada al proprio futuro.
Spesso si discute di certi comportamenti aggressivi e violenti, ci si indigna di fronte a quei giovani che mancano  di rispetto agli insegnanti, che si prendono gioco di loro, che arrivano a insultarli e persino a intimidirli.
E’ giusto censurare - sono comportamenti intollerabili - ma è necessario anche riflettere sulle nostre responsabilità.

Che razza di mondo abbiamo consegnato a questi ragazzi? Cosa può diventare un giovane dentro a un sistema dove ciò che conta è il suo essere consumatore, non persona, non cittadino? Un sistema che ti chiede di metterti in mostra, di diventare «famoso», di «farti conoscere», ma non ti dà i mezzi per conoscere te stesso, per scoprire chi sei attraverso le relazioni, la conoscenza, il talento, le passioni?
Se guardiamo all’uso e abuso di droghe - tra cui una, pericolosissima, che troppo sbrigativamente molti avevano dato per superata: l’eroina - bisogna pensare ai drammi interiori di tanti ragazzi, alla loro angoscia di non essere accettati e riconosciuti dalla «società dell’io», di non rivelarsi all’altezza di obiettivi ossessivamente proposti come prioritari: la bella apparenza, la ricchezza, il successo. Le droghe compensano provvisoriamente vuoti e frustrazioni, danno l’illusione di poter riuscire là dove si è fallito.

[…] Ma anche dobbiamo guardare i tanti giovani che - anche grazie a realtà che hanno saputo accoglierli, accompagnarli e valorizzarli - si stanno impegnando a costruire una società più giusta e più umana. Un giovane è per sua natura aperto alla vita, affamato di conoscenza, animato da domande profonde e inquietudine positive. Un giovane non si accontenta di sapere che una cosa esiste, vuole anche sapere perché esiste, qual è la sua essenza e quale il suo scopo. Sente il bisogno di interlocutori che prendano in seria considerazione le sue domande, il suo bisogno di interrogare e interrogarsi. Adulti che sappiano essere presenti senza essere soffocanti, tolleranti senza essere indifferenti. Che lo mettano in condizione di essere autonomo, di costruire percorsi in cui l’energia possa scorrere alla giusta tensione, in argini né troppo stretti né troppo larghi. «Educarci» dice una bella massima orientale «è come far volare un aquilone: se si tira troppo la corda o la si tira troppo poco, l’aquilone cade».
Come la scuola e la famiglia, anche il contesto sociale svolge un ruolo decisivo. La cittadinanza comincia quando ci si sente parte attiva di un contesto, quando da anonimo spazio di transito e di consumo la città diventa «immagine riflessa» di una mappa interiore di affetti, relazioni, stupori. Quando è città che fa posto ai giovani e non si limita a dare loro un posto. E mettendoli in condizione di «vedere» e non solo di guardare, di «ascoltare» e non solo di sentire, di «capire» e non solo di sapere, permette loro di sentirsi a pieno titolo cittadini. 


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