sabato 25 maggio 2019

Luigi Ciotti e Vittorio V.Alberti: Per un Nuovo Umanesimo / 4



 Libera la cultura
Memoria, Conoscenza, Impegno
di Luigi Ciotti  

[…] L’italia non è ancora libera. Se misuriamo la libertà col metro della dignità - quello più giusto e affidabile - la libertà nel nostro Paese non è ancora un bene comune universale. Non è libero, infatti, chi è povero, chi è senza lavoro, senza casa, chi non ha i mezzi per curarsi, chi non è stimolato a conoscere, a studiare, a realizzarsi. Non è libero chi cade in dipendenze come quella del gioco d’azzardo, alimentata da pubblicità ipocrite e truffaldine. Non è libero chi è oppresso nella solitudine, schiacciato dai bisogni, privato dei diritti. Sono milioni, in Italia, le persone non ancora libere.
E questa mancanza di libertà è intrecciata con le paure, quelle stesse che, come scriveva Vittorio all’inizio, vanno capite come prima cosa per riorganizzare una risposta non solo di proclami.
Ma quali e quante sono le paure? C’è innanzitutto la paura del sentirsi soli, abbandonati, che deriva dalla perdita del legame sociale, del senso di comunità. La paura che invade una società frantumata, dove i rapporti si sono deteriorati a causa della logica del profitto che ci fa percepire gli altri non come simili e fratelli, ma complici o avversari.
Poi la paura che nasce dal vuoto culturale, dall’analfabetismo di ritorno, dall’incapacità o dalla difficoltà di leggere i cambiamenti, dal sentirsi sovrastati da meccanismi e logiche incontrollabili. La paura che le nostre vite siano in mano a incognite e fattori imprevedibili. La paura che apre lo spazio alla superstizione, al mercato delle illusioni e, da lì, a forme di condizionamento e di potere.

Poi c’è la grande paura economica. Paura di un sistema che non protegge più le persone, che distrugge il lavoro o lo degrada a prestazione occasionale e indegnamente retribuita, che alimenta le diseguaglianze e smantella lo Stato sociale, il sistema di servizi e garanzie che ha consentito la prosperità delle democrazie.
C’è la paura della perdita di memoria e dunque della perdita d’identità, perché per sapere chi siamo bisogna sapere da dove veniamo, dobbiamo includere la nostra storia in una storia più grande che ci precede e che abbiamo il compito di sviluppare. Il nostro Paese soffre di una grave emorragia di memoria. Tanta gente non sa, per esempio, cos’è stata la guerra, cosa il Rinascimento o cos’è stato il fascismo, o ne conosce versioni manipolate, strumentali, superficiali…La memoria celebrativa, d’occasione, è contraria alla vera memoria. Ma lo è anche l’informazione sbrigativa, compulsiva, che ci sommerge di notizie ma non ci aiuta a contestualizzarle, a capirne il significato profondo.
Un’altra paura sulla quale dobbiamo riflettere è la paura dell’altro, del diverso, dello straniero. Una paura tra le più pericolose, perché può generare ostilità, aggressività e perfino odio. Anche qui la radice del male è l’ignoranza, perché si odia solo ciò che non si conosce.
Conoscere è smettere di odiare, è scoprire l’altro non solo fuori ma dentro di noi. Per questo l’immigrazione è una sfida cruciale del nostro tempo, quella che più di altre ci pone di fronte a un bivio: da una parte diventare una società aperta, giusta, accogliente; dall’altra diventare una società chiusa, diffidente, dominata da aggressività e paure.
Non dobbiamo invece temere gli speculatori e gli imprenditori della paura. I tanti che, in diversi ambiti, lanciano l’allarme e vendono false promesse e soluzioni. Non dobbiamo averne paura perché possiamo contrastarli con gli strumenti della ragione e della conoscenza, con l’impegno costante e condiviso.
Ma prima dobbiamo guardarci dentro con onestà e rigore (conosci te stesso e diventa ciò che sei..). Se le paure sono aumentate è anche perché non abbiamo saputo interpretare i cambiamenti in atto e inventarci nuove forme di lotta e di impegno. Non basta protestare contro l’aggressione ai diritti, bisogna anche chiederci cosa abbiamo fatto per difenderli!
In troppi hanno preso questo impegno sottogamba, lo hanno assunto solo a parole. E il risultato è un Paese non ancora libero, dove i nemici si chiamano oggi corruzione, mafie, disoccupazione, povertà, ignoranza. Mali che hanno una radice comune nell’indifferenza, nel disprezzo per il bene comune, nel divorzio tra etica e politica e tra libertà e responsabilità. Separata dall’etica, la politica non produce ma riduce la speranza. A volte la ruba. Separata dalla responsabilità, la libertà si degrada ad arbitrio, a prepotenza, a ingiustizia.
Occorre un nuovo umanesimo e portare la Liberazione a compimento, strapparla dal guado in cui vegeta, dalla palude in cui langue. 

Nessun commento:

Posta un commento