da: Il Fatto Quotidiano
Un
artificio fasullo che ha reso ancor più inefficiente l’Irpef
di Mario
Seminerio
La polemica di questi giorni sul bonus 80
euro che circa 1,4 milioni di lavoratori si sono trovati a dover restituire in
sede di conguaglio serve in realtà ad evidenziare la più generale incoerenza di
una misura dal pessimo disegno e che irrigidisce i conti pubblici nel momento
in cui il dibattito pubblico ha inopinatamente riscoperto che serve tagliare il
cuneo fiscale, mentre una propaganda raffazzonata proclamava sino a poco tempo
fa che l’operazione era stata compiuta con successo.
Se è vero, come del resto riportato in una
nota di marzo dallo stesso Ministero dell’Economia, che per 1,4 milioni di
persone che hanno dovuto restituire in tutto o in parte gli 80 euro ce ne sono
stati 1,6 milioni che hanno compiuto il percorso inverso, e se è altrettanto
vero che i conguagli dell’imposta sul reddito funzionano così in tutto il
mondo, è innegabile l’effetto asimmetrico di vero e proprio shock su persone
che magari hanno perso il lavoro in corso d’anno e
non sono riuscite a trovarne
un altro, oppure hanno ricevuto solo compensi a voucher (un problema politico
enorme, visti i proclami di questo esecutivo e la stessa nascita del Jobs Act
come presunto antidoto alla precarietà), e sono quindi finite ex post nel
girone degli incapienti, trovandosi a fine anno a dover restituire alcune
centinaia di euro.
Ma il pessimo disegno del bonus 80 euro si
coglie soprattutto nel fatto che, per redditi tra 24 e 26 mila euro, cioè la
fascia di décalage del sussidio, l’aliquota marginale effettiva Irpef è
calcolata in oltre il 60%, con un poderoso effetto disincentivante dell’offerta
di lavoro. A poco serve quindi che il premier dica che chi ha dovuto restituire
il bonus lo ha fatto perché ha visto aumentare il proprio reddito. Questo
meccanismo genera incertezza per il lavoratore ed oneri amministrativi per le
imprese, oltre ad apparire per quello che è: un ammennicolo posticcio attaccato
alla Grande Malata italiana, l’Irpef, rendendola ancor più inefficace ed
inefficiente.
Dieci miliardi che andavano spesi per
ridisegnare la curva d’imposta, rendendola meno assurdamente ripida nel tratto
tra 15 e 28 mila euro, agendo sulle detrazioni con valenza erga omnes, se
proprio non si volevano spianare i surreali gradoni della curva delle aliquote,
rendendola morbidamente continua come avviene ad esempio in Germania. Ma le
inefficienze del bonus 80 euro trovano complemento anche nella decontribuzione
a termine attaccata al Jobs Act. Solo ora, dopo 20 miliardi di spesa nel
triennio 2015-2017, si scopre che serve una riduzione permanente e definitiva
del cuneo fiscale ma non si sa come finanziarla, viste le condizioni di finanza
pubblica.
Se le chiamano risorse scarse un motivo
deve pur esserci. Singolare, per usare un understatement, che il governatore
della Banca d’Italia abbia enfatizzato la necessità di ridurre il cuneo fiscale
senza proferir parola sulla scadente azione del governo in quest’ambito, negli
ultimi due anni. Viviamo nell’era delle amnesie, evidentemente.
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