Premesso: condivido questa affermazione di
Jacopo Tondelli: “chi pensa che per
capire la politica basti il pallottoliere: serve, ma non basta, perché anche la
conoscenza della storia della geografia dell’economia e della società sono
indispensabili. A patto di avere la giusta
onestà intellettuale: e quella, si sa, serve sempre”.
Post elezioni, è iniziata la tiritera di
chi ha vinto o perso o di quale peso abbiano i voti.
Il voto elettorale è quella cosa che
prevede che un italiano deponga una o più schede nelle urne. Finito il tempo a
disposizione vengono contate quante schede sono andate ai partiti che si sono
presentati al voto.
Ergo: contano i numeri. Perché nell’attuale
sistema italiano devi avere la maggioranza dei voti per governare.
Detto che contano i numeri, è indubbio che
vi sono voti che “pesano” più di altri.
Quindi, ci sta l’affermazione che un
risultato conseguito a Roma e a Torino abbia un valore e un effetto maggiore di
quello di “n” altri comuni.
Sono un paio di giorni che girano attente analisi quantitative del voto. Sono
tutte solide e corrette, e oggi è arrivata anche l’analisi del dato
dell’Istituto Cattaneo, che ha spiegato che prendendo a riferimento le elezioni
politiche del 2013, nei comuni in cui si è votato per le elezioni comunali
della scorsa
domenica elettorale, il Movimento
Cinque Stelle ha perduto 4 punti, il Partito Democratico ne ha guadagnato 1 e
il centrodestra addirittura 4. L’Istituto Cattaneo peraltro ha solo
analizzato a fondo dati che erano ricostruibili, seppur con meno rigore,
analizzando le fonti pubbliche e l’archivio del ministero dell’interno.
Molto si potrebbe discutere del parametro
temporale ed elettorale perso a punto di riferimento. Le politiche del 2013 sono state, ad esempio, l’ultima competizione in
cui il centrosinistra, guidato da
Pierluigi Bersani, ha mostrato il vecchio volto ormai logorato, sul piano
del consenso agli elettori, mentre appena un anno dopo, alle Europee del 2014, i voti furono molti di più, in quello che
per ora resta il punto ampiamente più
alto, dal punto di vista elettorale, del nuovo corso renziano. Prendere a
riferimento un momento o l’altro, ovviamente, cambia di molto la prospettiva
del risultato dei democratici analizzato oggi. Lo stesso dicasi per il Movimento Cinque Stelle, che un anno dopo il boom del 2013 aveva perso 5 punti
percentuali pieni, o il centrodestra
che nel 2013 presentava per l’ultima volta un Berlusconi – a proposito,
auguri di pronta guarigione – ancora combattivo ma già ampiamente lontano dai
fasti di cinque anni prima.
Ma insomma, le politiche del 2013 sono sicuramente un parametro sensato, a patto di
tenere presente il cambiamento di contesto e le differenze tra le varie
competizioni elettorali. E quindi è molto interessante guardare i numeri, sia relativi sia assoluti, e capire di cosa
parliamo quando parliamo di boom e di crolli. Quello che non è sensato, tuttavia, è cadere nelle opposte propagande facendo
finta che siano narrazioni oggettive. Per intenderci e parlare chiaro: il risultato del Movimento Cinque Stelle a
Roma, in cui la candidata Virginia Raggi si avvia al secondo turno prima con
oltre il 35% di voti è un risultato enorme. In termini assoluti, e in termini simbolici, e a compensarlo non
bastano i voti che il movimento Cinque Stelle perde, nei comuni in cui ha
votato e si è presentato, rispetto a quegli stessi comuni in occasioni delle
elezioni politiche del 2013. Perché Roma, non sfuggirà a nessuno, è la capitale
di Italia. Lo stesso dicasi per il risultato di Chiara Appendino a Torino: che va a giocarsela al ballotaggio a Torino, quarta città italiana, con il 30%
dei voti e facendo abbastanza paura al sindaco uscente, un uomo simbolo
come Piero Fassino. Sono due risultati molto significativi già di per sé, e in
caso di esito favorevole alle due candidate sarebbero addirittura clamorosi. Un
vero terremoto politico, destinato in ogni caso ad aprire una fase nuova, con nuove gravose responsabilità per il movimento e
di conseguente nuova attenzione. Un tempo nuovo in cui mostrare se si è in grado di fare l’ultimo salto per
la guida del paese o se invece si può solo tornare indietro in seguito a
pessime esperienze di governo. E d’altro canto, questo esito imporrebbe alla
classe dirigente locale e nazionale del partito democratico di Matteo Renzi
un’autocritica ancora più serrata e impietosa.
Con buona pace di chi pensa che per capire la politica basti il pallottoliere: serve, ma
non basta, perché anche la conoscenza della storia della geografia
dell’economia e della società sono indispensabili. A patto di avere la giusta
onestà intellettuale: e quella, si sa, serve sempre.
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