giovedì 18 agosto 2022

Siamo donne, oltre Giorgia c’è di più

 

 

da: https://www.tag43.it/  - di Lia Celi

Se il Paese fosse quello sognato dalla Fiamma tricolore, la Meloni se ne starebbe a casa a rammendare camicie nere. E le ragazze diventerebbero tutte madri o accuditrici. Eppure, in caso di premier donna, seppur di destra, le giovani sarebbero spinte a coltivare ambizione e leadership. Ritoccando un vecchio adagio: «Non fare quel che Meloni dice, fai quel che Meloni fa».

Il termine «catfight» per rissa fra donne è politicamente scorrettissimo – anche zoologicamente, per la verità, visto che le zuffe tra gatti in genere vedono per lo più maschi contro maschi, o maschi contro femmine, e quelle tutte al femminile sono molto rare. Oltretutto i gatti, come tutti i felini, sono tendenzialmente pigri e si scatenano solo per buone ragioni – cibo, territorio, sesso, difesa della prole – non su se sia più giusto dire «mieo» o «miao» o se una gatta sterilizzata sia ancora femmina o no. Ma che voglia di usare l’antipatico «catfight» per descrivere la polemica che ha opposto un gruppo di associazioni femministe con in testa Marina Terragni e la venerata maestra Natalia Aspesi a proposito, indovina indovinello, di un’altra donna, l’inevitabile Giorgia Meloni – per ora meno inevitabile come inquilina di palazzo Chigi che come oggetto mediatico pressoché quotidiano di critiche, osanna, stilettate e riverenze. Come scrive su Repubblica, Aspesi è stata approcciata da Terragni con un manifesto «per un orizzonte politico comune alle donne di tutti i partiti»

ispirato a «Olympe des Gauges» – non so se il refuso viene da Aspesi, da Terragni o da Repubblica, ma se si cita una delle protomartiri del femminismo, Olympe des Gouges, autrice della «Dichiarazione dei diritti della donna e della cittadina», poi ghigliottinata dai giacobini, come minimo bisognerebbe sapere come si scrive il suo nome.

La Meloni è erede dello schieramento politico che, potendo, alle donne non avrebbe dato manco il diritto di voto

«Le donne saranno sempre divise le une dalle altre? Non formeranno mai un corpo unico?» si domanda des Gouges nella Francia del 1791, così come Terragni nell’Italia del 2022, che vede una donna non solo aspirare al ruolo di premier (quello, in linea puramente teorica e tecnica, avrebbe potuto farlo da un pezzo), ma avere buone chance di diventarlo sul serio. E qui ad Aspesi salta la mosca al naso. Perché c’è un piccolo problema: questa donna, Giorgia Meloni, è erede dello schieramento politico che, potendo, alle donne non avrebbe dato manco il diritto di voto. Magari glielo avrebbe promesso, come fece nel 1923 Mussolini («un bon politicien», cfr. Meloni giovane), che aveva ventilato il suffragio femminile nelle elezioni amministrative, per poi risolvere il problema eliminando le elezioni amministrative. Insomma, se oggi in Italia le donne possono votare, controllare la propria vita sessuale e riproduttiva, divorziare senza finire in mezzo a una strada, fare figli fuori dal matrimonio senza essere segnate a dito e anche scegliere qualunque carriera, politica compresa (arrivare in alto è un altro paio di maniche), non sarà tutto merito della sinistra italiana tradizionale, ma sicuramente non è merito della destra. Che all’epoca si oppose a queste conquiste di giustizia e civiltà e quando ne ha l’occasione lo fa ancora. Se il Paese fosse quello sognato dalla Fiamma tricolore, che Meloni ci tiene tanto a conservare nel suo simbolo, altro che palazzo Chigi, Meloni se ne starebbe a casa a rammendare camicie nere, circondata da una mezza dozzina di balillini.

Nei 15 punti del programma di Fratelli d’Italia le donne sono indicate solo come madri e accuditrici di familiari

«L’avete proposto anche a Giorgia Meloni, questo documento?» domanda ironicamente Aspesi alle firmatarie del manifesto, sottolineando come il suo partito si chiami Fratelli d’Italia, «dimenticando le sorelle». (Strana lamentela, per un’autrice che in altre sedi ha fatto capire di trovare «noiosa» l’inclusività a tutti i costi: allo stato della grammatica italiana, il plurale maschile «fratelli» copre anche le eventuali sorelle). FdI le dimentica perché la sorellanza alla nuova destra fa un baffo: nei 15 punti del suo programma le donne non sono indicate come sorelle alla pari, ma solo come madri e accuditrici di familiari, minori e disabili.

Una giovane donna che diventa premier non sarebbe comunque un esempio?

Il dubbio di Aspesi (e non solo) è che questo sia anche «l’orizzonte comune alle donne di tutti i partiti» di cui parla il documento co-firmato da Terragni: la maternità, che dovrebbe tornare «al centro delle comunità umane» per «orientare il programma politico», contro l’identità di genere, «ideologia misogina e mercantile, nuova faccia glitterata del patriarcato». Oddio, sarà brutto il patriarcato glitter, ma non è che il matriarcato stile Venere di Willendorf sia tanto più attraente per una ragazza di oggi. Tutto diventa più chiaro se ricordiamo che Marina Terragni è la portavoce nostrana del femminismo radicale che i maligni chiamano Terf, Trans-exclusionary radical feminism (quello alla Rowling, per intenderci), secondo il quale le trans sono donne abusive e la maternità surrogata una forma di sfruttamento violento del corpo femminile. La conclusione di Aspesi è una scorciatoia beffardamente dorotea: comunque la pensino le donne su Meloni, sono così fisiologicamente predisposte al «catfight» che alla fine non potranno fare a meno di detestare anche lei. Eppure, da elettrice che non voterebbe mai FdI, ma che ha due figlie, io non riesco a non domandarmi se, per le ragazze italiane, una giovane donna che diventa premier non sarebbe comunque un esempio, se vedere sdoganati e coronati dal successo quelli che sono ancora considerati peccati mortali per le donne, l’ambizione e la leadership, non accenderebbe in tante la voglia di sfondare lo stramaledetto soffitto di cristallo, specie se sopra c’è un governo di destra. Ritoccando un vecchio adagio: «Non fare quel che Meloni dice, fai quel che Meloni fa».

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