da: Il Fatto Quotidiano – di Tommaso Rodano
Sorpresa: si è ristretta “l’agenda Draghi”. Ammesso che sia mai esistita e che se ne conoscano i contenuti effettivi, la strategia di coloro che impugnano la bandiera del premier dimissionario e la sventolano come un feticcio elettorale non sembra dare buoni frutti. Il più recente sondaggio di Antonio Noto, pubblicato dal Corriere della Sera, premia i due partiti meno draghisti di tutti: Fratelli d’Italia sale tra il 24 e il 25%, guadagnando un paio di punti rispetto ai giorni della crisi di governo. Il Movimento Cinque Stelle ne guadagnerebbe tre, passando dal 9-10% di un mese fa all’attuale 12-13%. Una tendenza abbastanza netta e in direzione contraria rispetto alla narrazione dei giornali mainstream sulla popolarità plebiscitaria dell’ex banchiere centrale: a beneficiare della caduta dell’esecutivo sarebbe l’unico partito che si è sempre opposto al suo governo (quello di Giorgia Meloni), insieme al Movimento di Giuseppe Conte, individuato dai media come principale responsabile della sua caduta. Gli esegeti della fantomatica “agenda Draghi” invece boccheggiano: il Pd arretra tra il 21 e il 22%, il nuovo polo centrista di Renzi e Calenda, nonostante sia appena stato lanciato con una copertura mediatica straordinaria, non va oltre il 7-8% e buca l’obiettivo della doppia cifra (quella di Noto peraltro è la stima più generosa: Gdc sondaggi li colloca al 5,1, Demopolis al 5,3).
“Penso sia un effetto legato soprattutto all’immaginario collettivo”, sostiene Noto, “che non riguarda necessariamente il sentimento degli elettori su Draghi in persona: quando ci sono elezioni dopo la caduta di un governo, gli elettori si aspettano qualche genere di cambiamento. Non si accontentano che gli venga promessa una continuità con l’esecutivo che è caduto”.
I numeri dicono che qualcosa non sta funzionando nelle scelte di Enrico Letta: “C’è una contraddizione lampante nella strategia del Partito democratico”, spiega il sondaggista. “Da una parte Letta sostiene che Draghi sia il premier ideale e di voler proseguire il suo lavoro, ma dall’altra si allea con Fratoianni e Bonelli, che con quell’impostazione non hanno nulla a che fare. È una mistificazione che si paga, perché non spinge l’elettorato di sinistra a votare Fratoianni e Bonelli, ma verso i Cinque Stelle”. Così si spiega la crescita dei numeri di Conte, che ha trovato un posizionamento netto in uno spazio che nessun altro partito riesce a interpretare in modo credibile. “C’è una quota dell’elettorato di sinistra che non è fidelizzato a nessun partito e a ogni elezione mette in discussione il voto al Pd. Accreditando la narrazione draghiana, Letta respinge quell’elettorato, che d’altra parte non si sente garantito da Fratoianni e Bonelli. Nelle nostre rilevazioni, Sinistra italiana e Verdi rischiano di restare sotto alla soglia di sbarramento, galleggiano tra il 2 e il 3 per cento”.
Ci sono una serie di controsensi, aggiunge Noto, nello schieramento post-draghista: “Quel sentimento legato al premier è qualcosa non dico di superato, ma è un fatto certo che agli elettori devi dire qualcosa di nuovo. Un altro grande errore che sta facendo chi sostiene quell’agenda, è che poi non dice con quale maggioranza intenda farlo”. Anche perché le ultime uscite di Renzi su presidenzialismo e pandemia sembrano guardare soprattutto a destra, verso Meloni. Il meno felice di tutte queste attenzioni potrebbe essere proprio il premier: “I partiti che lo appoggiano pubblicamente rischiano per lo più di delegittima rlo”, aggiunge Noto, “forse persino di metterlo in difficoltà. Dovessero andare incontro a una sconfitta elettorale rovinosa, si potrebbe leggere come una sconfitta di Draghi? Non penso proprio che Draghi voglia questo. Credo che sia un errore e un’ingenuità politica”.
Sta di fatto che formuletta “agenda Draghi” da qualche giorno viene pronunciata in maniera meno martellante. Sfogliando i grafici di Google Trends, si nota come l’incidenza della parola “Draghi” nelle news e sul motore di ricerca abbia avuto un’impennata prevedibile nei giorni della crisi (tra il 14 e il 21 luglio), ma a partire dal 27 luglio la curva dell ’ex premier sia praticamente azzerata.
Dal punto di vista sostanziale, poi, il programma elettorale del centrodestra – che probabilmente vincerà le elezioni – è quanto di più distante dalle linee guida dell ’ex banchiere, specie su tasse, lavoro e pensioni. Anche il Pd di Letta, dopo l’alleanza con verdi e sinistra, ha rinunciato all’adesione acritica e ha iniziato a parlare di un draghismo rivisitato e corretto, migliorabile. Tra le ambiguità più evidenti spicca quella sui temi energetici e sui rigassificatori. Gli unici duri e puri dell’agenda Draghi restano nel polo centrista di Renzi e Calenda, nonostante le sbandate a destra del capo di Italia Viva.
A
un mese dalle dimissioni, insomma, il fanatismo draghista si sta sgonfiando.
L’agenda resta un fenomeno per lo più mediatico e sempre meno rilevante. “Nella
realtà – sostiene Noto – l’agenda Draghi è solo uno slogan. Io non so se
esista, cosa sia; gli elettori non ne hanno la minima idea. Era uno slogan che
peraltro andava bene subito dopo la caduta del governo, ora si inizia già a
dimenticare. È comunicazione senza contenuti: non ho sentito nessun partito che
abbia posto l’agenda Draghi in termini programmatici concreti, fattibili, si è
sempre trattato per lo più di uno slogan elettorale. Ma questo non funziona,
respinge: l’elettore diventa sempre più freddo, non si lascia affascinare”.
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