da: https://www.tag43.it/ - di Debora Faravelli
A L’Avana, nonostante regime comunista ed embargo, stanno messi meglio della nostra sanità: quasi 500 medici e infermieri cubani sono stati spediti in Calabria per sopperire alla mancanza di personale sanitario e alle difficoltà di reclutarlo. Ma dietro l’operazione ci sono anche altre finalità.
Per sopperire alla mancanza di personale negli ospedali della Calabria, nei prossimi mesi arriveranno circa 500 medici cubani. È quanto ha annunciato il governatore Roberto Occhiuto dopo che i bandi pubblicati dalla Regione per assumere operatori a tempo indeterminato non hanno sortito gli effetti sperati e «sono andati deserti».
Medici cubani in Calabria
L’accordo siglato con il governo di Cuba prevede l’invio di 497 medici con diverse specializzazioni, di cui una prima decina, che già conosce e parla la nostra lingua, in arrivo a settembre. Gli altri, prima di prendere servizio, faranno corsi intensivi per apprendere l’italiano. La trattativa che ha portato alla stipulazione dell’accordo è stata avviata mesi fa, ma l’amministrazione calabrese ha deciso di mantenerla riservata perché «altre istituzioni pubbliche e private stavano esplorando con insistenza la stessa strada». Il risultato raggiunto, ha assicurato Occhiuto, consentirà di affrontare con maggior serenità i prossimi step per risanare e migliorare la sanità regionale.
Un mondo che continua a soffrire a causa della mancanza di personale e soprattutto della difficoltà a reperirlo. Secondo il governatore, è l’effetto perverso del numero chiuso imposto alle facoltà di Medicina e delle modalità di reclutamento che sono diventate difficilmente prevedibili e governabili. Sta di fatto che le aziende sanitarie, che hanno risorse in abbondanza per assumere anche a tempo indeterminato, negli ultimi mesi hanno tentato ogni strada per ripopolare gli ospedali senza trovare via d’uscita diversa dal ricorso a medici provenienti dall’estero.
L’esportazione dei medici cubani all’estero
Non è comunque la prima volta che Cuba fornisce personale all’Italia (e a tanti altri stati nel mondo). Già nei primi mesi della pandemia, quando il nostro paese ha dovuto fare i conti con un repentino aumento dei contagi, il governo allora guidato da Raùl Castro aveva inviato 37 medici e 15 infermieri nell’ospedale da campo di Crema e altri 21 medici e 16 infermieri a Torino.
La preparazione dei sanitari è infatti uno dei principali vanti del Paese, che negli anni ha investito molto sull’invio di risorse umane e sulla messa a disposizione delle loro competenze a stati esteri. Un dono inestimabile per chi lo riceve, noi compresi, sulla cui natura non mancano però aspetti controversi. A fianco di chi lo ritiene un’espressione della natura progressista dello Stato cubano, che nonostante si configuri come un regime offre sostegno agli altri Paesi, non manca infatti chi evidenzia come l’operazione nasconda un fine utilitaristico e celi le dure condizioni dei medici cubani nonché l’esiguità dei loro salari.
Secondo
dati citati dal The Guardian, nel 2018 Cuba ha guadagnato 6,2 miliardi di
dollari dall’esportazione dei servizi medici, un introito che ha costituito la
sua più grande fonte di valuta estera. Situazione analoga l’anno seguente,
quando l’export di personale ha rappresentato il 6% del PIL dell’isola. Quanto
ai lavoratori, costoro riceverebbero soltanto il 25% di ciò che i governi
stranieri pagano alle autorità cubane per i loro servizi. Cifre che sono
comunque molto più alte di quelle che guadagnerebbero normalmente nel loro
paese: il personale inviato in Brasile nel 2013, per esempio, ha ottenuto 2.900
reais al mese (1.400 dollari nel 2013 e 908 nel 2017) contro i 1.500 pesos (60
dollari) de l’Havana. Una situazione che fa pensare come, al fianco di un fine
benevolo, l’esportazione della sanità costituisca in realtà una fonte di
guadagno non indifferente per il governo.
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