Di fronte all’opposizione del leader M5s di aumentare la spesa militare al 2 per cento, Draghi ha ribadito come fosse stato l’ex premier ad assumere l’impegno con la Nato. Lo scontro avrebbe rafforzato l’idea del presidente di abbandonare il governo prima del 2023.
Il duello tra Draghi e Conte sull’aumento del 2 per cento delle spese militari ha messo in evidenza alcuni fatti molto interessanti. Intanto, Mariopio ci teneva a sgualcire la pochette del fu Avvocato del popolo e si era ben preparato all’incontro. Quando, con il tono perfido di chi considera l’interlocutore l’usurpatore del suo trono, lo spodestato Peppiniello ha sibilato: «Siccome siamo il partito di maggioranza relativa alla Camera e al Senato, caro Mario valuta bene il no del M5S, un no che si può ritorcere contro di te», Draghi ha tirato fuori al volo il consueto ghigno e i resoconti di quando Conte era premier (per mancanza di prove).
Quando Conte era premier ribadì l’impegno a un aumento delle spese militari al 2 per cento
Riporta Francesco Bei su la Repubblica: «L’impegno a portare gradualmente le spese militari al 2 per cento del Pil non è una risposta occidentale all’invasione dell’Ucraina. Nasce almeno tre lustri fa e nel 2019, guidando l’alleanza giallo-rossa, fu l’allora premier Conte, al summit Nato di Londra, a mettere la sua firma in calce alla dichiarazione finale che impegnava l’Italia ad aumentare le spese militari al 2 per cento del Pil. “We must and will do more”, dobbiamo fare e faremo di più, scriveva Conte. I massimi senatori 5S, da Taverna a Crimi, mettono oggi per iscritto che bisogna opporsi a questa “scelta scellerata”, dimenticando che fu la stessa compiuta dal Conte II». Conclude Bei: «Con una sottile differenza. Il governo Conte
aveva aumentato la spesa militare più di quanto ha fatto il governo Draghi. Un calcolo che una manina di palazzo Chigi si è ieri premurata di mettere nero su bianco. I governi dell’avvocato fecero lievitare le spese militari del 17 per cento, con il governo Draghi questa voce del bilancio registra un aumento del 5,6 per cento».L’incontro al Quirinale tra Mario Draghi e Sergio Mattarella
La replica di Conte ha ripetuto in soldoni ciò che aveva detto in una recente intervista: «Non è una richiesta dei 5Stelle, è la richiesta del popolo italiano». A quel punto Draghi ha ribadito che non romperà l‘impegno sottoscritto da Conte nel 2019 con la Nato e che avrebbe informato subito il Capo dello Stato. Salito al Quirinale, Draghi è stato accolto da un Mattarella in modalità democristo sornione: «vediamo», «non penso», «se molti 5Stelle voteranno contro, una parte voterà a favore…», eccetera. Tale tranquillità da parte della Mummia Sicula nasce dai recenti contatti che il suo segretario generale Ugo Zampetti ha auto con Giorgia Meloni; e quanto prima ci sarà un incontro con la leader del partito di opposizione.
Perché Giuseppe Conte adesso si oppone all’aumento delle spese militari
Infatti, nel duello con il premier, Conte aveva mostrato irritazione per il parere positivo dato dal governo all’ordine del giorno dei Fratelli d’Italia, favorevole all’aumento delle spese militari. L’atteggiamento anti-Nato della Pochette dal volto umano ha origine dalla sua volontà di non perdere consensi dell’ala pacifista dei 5Stelle nella recente votazione che lo ha portato di nuovo alla presidenza del Movimento.
Ieri,
è apparso anche il nuovo Draghi ammaccato dal flop post-Colle quando ha
scaricato il fardello pentastellato nelle mani di Sergio Mattarella. Un
Draghi stressato che senza la guerra, avrebbe già mollato al suo destino il
governo. Per ora, non è per niente sicuro di arrivare seduto a Palazzo Chigi al
voto del 2023. Magari, una volta raggiunta la pace tra Russia e Ucraina, con i
peones sicuri del vitaliazio (a settembre), li abbandonerà al loro destino di
scappati di casa e potrà finalmente riposarsi con la diletta moglie nel buen
retiro umbro.
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