da: Domani – di Giulia Merlo
Non basta l’interesse mediatico per motivare il carcere preventivo. Ed è per questo che due indagati sono in libertà e uno ai domiciliari
I tre indagati della tragedia della funivia di Stresa-Mottarone sono stati scarcerati ieri. Tutti erano stati fermati e portati in carcere nel cuore della notte di cinque giorni fa, ma la gip di Verbania Donatella Banci Buonamici non ha convalidato il fermo disposto dalla pm Olimpia Bossi. Il gestore dell’impianto Luigi Nerini e il direttore d’esercizio Enrico Perocchio sono liberi. Il caposervizio Gabriele Tardini, che ha ammesso di aver inserito il blocco ai freni della funivia, è ai domiciliari.
Come funziona
Breve quadro di come funziona questa fase processuale: siamo nel corso delle indagini preliminari, durante le quali il pubblico ministero è chiamato a indagare i fatti, formulare ipotesi di reato e individuare eventuali indagati. Il pm può disporre il fermo degli indagati, nel caso in cui esistano le condizioni previste dal codice di procedura penale: i gravi indizi di colpevolezza e le esigenze cautelari, che sono il pericolo di fuga, di reiterazione del reato o di inquinamento delle prove. La misura, però, deve essere confermata dal giudice delle indagini preliminari, che valuta se sia proporzionata e sufficientemente motivata dal pm.
Questa fase preliminare delle indagini è sempre quella oggetto di maggiore attenzione da parte dei media: si analizzano i dettagli, si cercano i colpevoli, si delimitano le circostanze. Spesso, i media invadono questo delicatissimo momento processuale, ma è il complesso equilibrio tra diritto di cronaca, diritto di difesa degli indagati, principio di segretezza delle indagini penali.
Il clamore mediatico
Nel caso della tragedia di Stresa, però, questo diritto di cronaca è spesso esondato in una morbosità che vìola i principi deontologici della nostra professione, che prevedono per esempio di non offrire elementi non utili al racconto della notizia che violino la privacy delle persone. Invece, su molti giornali sono state pubblicate le foto della villa del proprietario della funivia, esponendo i suoi familiari e chiunque lì vivesse a subire una violazione della loro dimensione privata. A far preoccupare di più, tuttavia, è il cortocircuito che si è generato tra procura e stampa. La gip, infatti, ha scarcerato i tre indagati sulla base di motivazioni precise: il fermo per i tre «è stato eseguito al di fuori dei casi previsti dalla legge». Non esisterebbe il pericolo di fuga indicato dalla pm come presupposto dell’esigenza cautelare nemmeno «tenendo conto dell’eccezionale clamore anche a livello mediatico nazionale e internazionale». «Suggestivo ma assolutamente non conferente è il richiamo al clamore mediatico», ha scritto il gip nell’ordinanza, definendolo «di totale irrilevanza».
Questo che sembra un dettaglio, invece, è l’epicentro del problema. Il crollo della funivia è avvenuto il 23 maggio e nel corso della settimana da poco trascorsa la pm ha rilasciato interviste a buona parte dei quotidiani nazionali, oltre che molte dichiarazioni alle agenzie di stampa di cui sono stati riportati ampi stralci. Questo produce alcune domande. A indagini appena avviate, e dunque necessariamente senza prove circostanziate ancora in mano, è davvero necessario e soprattutto auspicabile che il pm parli con la stampa? Soprattutto nel caso in cui la stessa pm motiva, tra le altre ragioni, la richiesta della misura cautelare maggiormente afflittiva – quella del carcere – con il «clamore mediatico »? Un clamore mediatico che lei stessa ha contribuito a generare con le sue dichiarazioni.
Le garanzie
Dettaglio
amaro: in fondo ad alcuni articoli che tracciano il profilo della pm, come
quello del Corriere della Sera del 27 maggio, si legge che Bossi «non ama il
clamore della stampa, anche se in questi giorni non si è sottratta ai cronisti»,
che hanno anche dato conto dei suoi due figli, del suo amore per i viaggi e del
suo sogno di fare una «lunga crociera intorno al mondo». Per fortuna a difesa
di tutti i cittadini – soprattutto gli indagati che si trovano davanti
all’autorità giudiziaria – opera il sistema delle garanzie processuali. In
questo caso, un giudice terzo che supervisiona la fase delle indagini
preliminari, verificando i presupposti e controllando l’operato del pm. Un
sistema forse imperfetto, ma che va difeso dagli attacchi di chi vorrebbe
sbilanciarne l’equilibrio, considerando le garanzie agli indagati un’inutile
orpello che allunga i tempi della giustizia. Soprattutto oggi che il processo non
si svolge più solo nelle aule di giustizia, ma anche e spesso prima di tutto
sulle pagine dei giornali.
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