da: Il Fatto Quotidiano
Bitcoin,
chi li compra fa un atto di fede. Ecco la moneta virtuale che non piace alle
banche
di Loretta
Napoleoni
Il fenomeno più interessante dell’economia
della condivisione sono i bitcoin. Molti non saranno d’accordo con questa
affermazione poiché i bitcoin sono entrati a far parte degli strumenti
finanziari, tant’è che la prossima settimana il mercato futuro di Chicago
inizierà a quotarli. Ma proprio il fatto che siano riusciti a sfondare tutte le
barriere corporative della finanza mondiale, dall’emissione di moneta delle
banche centrali fino ai controlli delle clearing houses, imprese finanziarie
che ‘assicurano’ la solvibilità delle transazioni delle consorelle, prova la
potenza del sistema peer-to-peer, e cioè quello della condivisione.
Per chi non conosce la storia della moneta elettronica che nel 2017 ha
fatto registrare tra i più alti tassi di rendimento dell’investimento, i bitcoin sono nati nel 2008 con lo scopo
specifico di rendere obsoleto un sistema monetario fiduciario dove la creazione
di denaro nasce dall’emissione del debito ed i controlli sono in mano alla
casta finanziaria.
Da quando il sistema monetario internazionale ha sganciato il valore della moneta da quello dell’oro, dietro i biglietti e le monete che riempiono i nostri portafogli non c’è assolutamente nulla. In God We Trust, si legge sui dollari americani, la moneta è un atto di fede.
Da quando il sistema monetario internazionale ha sganciato il valore della moneta da quello dell’oro, dietro i biglietti e le monete che riempiono i nostri portafogli non c’è assolutamente nulla. In God We Trust, si legge sui dollari americani, la moneta è un atto di fede.
In un certo senso anche chi compra e vende i bitcoin esprime un
atto di fede, e cioè che la moneta abbia un vero valore perché esiste un
mercato e che questo valore rispecchi l’andamento della domanda e dell’offerta,
ma questo tipo di fiducia è applicabile a tutti gli scambi. A differenza dell’euro, del dollaro e di
tutte le moneti correnti, infatti i
bitcoin sono agganciati ad un valore determinato e finito, un bene
elettronico che presenta molte delle caratteristiche dell’oro. E vediamo
perché.
La produzione
di bitcoin avviene attraverso un processo definito mining, di estrazione in
miniera, proprio come l’oro. Il sistema crea e distribuisce in maniera
causale all’interno della rete della compravendita nuove monete. Per
appropriarsene bisogna estrarle attraverso una serie di calcoli che, man mano
che il numero di operatori e di bitcoin estratti cresce, diventa sempre più
complesso. Inizialmente, dunque, i singoli operatori erano in grado di svolgere
questa attività, ma oggigiorno richiede capacità di calcolo così avanzate e
complesse che solo gruppi di operatori che si alleano, chiamati mining pools, e
che si avvalgono di potenti sistemi elettronici riescono a trovare la soluzione
e produrre nuovi bitcoin. Ciò significa che il sistema finanziario classico si
trova in una posizione di vantaggio perché ha le risorse necessarie per mettere
in piedi tali gruppi.
Come
per l’oro, il valore dei bitcoin riflette la scarsità del bene.
La produzione di bitcoin è infatti limitata a 21 milioni che verranno prodotti
nel giro di 130 anni. Il sistema è programmato affinché l’80 per cento
della massa monetaria venga prodotto nei primi 10 anni di vita della moneta.
Inizialmente i ‘minatori’ guadagnano dalla produzione delle monete, ma man mano
che questa scende il guadagno arriverà dal costo delle transazioni. Per capire
questo concetto bisogna fare un passo indietro.
La rete
è la garanzia del valore dei bitcoin. Per impedire che
la stessa moneta sia scambiata e spesa più di una volta, cioè per impedire le truffe, ad ogni bitcoin è agganciato un sistema
di verifica basato sulla condivisione di chi l’ha prodotta e scambiata nel
tempo, un sistema definito ‘di marcatura oraria peer-to-peer’, cioè gestito
collettivamente. Ogni nuova moneta viene verificata dalla collettività che
stabilisce se i calcoli di estrazioni sono corretti, man mano che ciò avviene
si crea il blockchain, in italiano una catena dei blocchi. Ogni conferma, o
nodo, si aggancia all’altra e crea così il primo blocco. Va da solo che tanto
più alta sarà la commissione tanto più veloce sarà il sistema di verifica.
Ottenuto il primo blocco questo si aggancia a quello degli altri bitcoin ed
inizia ad essere scambiato.
La
differenza fondamentale con le valute a corso legale è il controllo della
creazione di moneta che rimane nelle mani della collettività, nessuna banca
centrale può manipolarla. Inoltre il numero finito di bitcoin
che verrà emesso evita l’inflazione della moneta e la susseguente
redistribuzione della ricchezza a questa legata. Questo spiega l’ostracismo
della banche nei confronti dei bitcoin e l’azione dirompente che la loro
introduzione tra gli strumenti finanziari sta creando. Come sempre è
impossibile prevedere il futuro, ma il semplice fatto che i bitcoin ancora
esistano è già un passo in avanti verso la creazione di un nuovo sistema
monetario più equo e funzionale all’economia del villaggio globale.
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