lunedì 7 giugno 2021

Il resto del mondo senza vaccini

 


da: https://www.ilpost.it/

Mentre nei paesi ricchi le dosi non mancano, miliardi di persone nei paesi più poveri non si possono vaccinare: è un problema per tutti

A sei mesi dall’inizio delle campagne vaccinali contro il coronavirus è sempre più evidente una divisione del mondo tra i paesi più ricchi, che dispongono di una crescente quantità di vaccini, e quelli in via di sviluppo e più poveri dove la percentuale di popolazione vaccinata continua a essere estremamente bassa. La differenza è diventata via via più marcata, con aree del mondo come il Sudamerica e parte dell’Asia dove la pandemia continua a causare gravi danni, con migliaia di nuovi casi e morti ogni giorno.

Negli Stati Uniti circa metà della popolazione ha ottenuto almeno una dose, mentre nei paesi più poveri i parzialmente vaccinati sono meno dell’1 per cento. La mancanza di vaccini in questi paesi non è solo il segnale di una profonda diseguaglianza, ma anche un ostacolo al superamento della pandemia che potrebbe ritorcersi contro i paesi più ricchi e più avanti con le vaccinazioni. In un contesto di questo tipo il coronavirus continua a circolare tra la popolazione e a mutare, con l’affermarsi di varianti che possono rivelarsi difficili da contenere.

Stati Uniti e Unione Europea, che dispongono di dosi crescenti di vaccini e sono più avanti con le campagne vaccinali, hanno promesso il trasferimento o la donazione di milioni di dosi di vaccini, ma di fronte alla grande domanda gli sforzi annunciati finora non sono sufficienti. Altre collaborazioni internazionali faticano a reperire quantità adeguate di dosi, in parte proprio a causa dei paesi più ricchi che hanno ordinato ai produttori enormi quantità di vaccini, lasciando poche dosi e materie prime per produrle al resto del mondo.

Sudamerica

Il Sudamerica nelle ultime settimane è diventata l’area del pianeta con il più alto tasso di nuovi casi positivi. Paraguay, Uruguay, Argentina e Colombia sono tra i paesi ad avere più casi in rapporto alla popolazione e la loro situazione sanitaria continua a essere difficile, in alcuni casi critica.

In Argentina, il presidente Alberto Fernández ha detto che il paese sta affrontando «il momento peggiore dall’inizio della pandemia». Da metà maggio i contagi sono aumentati sensibilmente, con una media nell’ultima settimana di circa 33mila nuovi casi al giorno su 45 milioni di abitanti; i decessi sono circa 500 al giorno da una settimana. Poco più del 20 per cento della popolazione ha ricevuto una dose di vaccino, e anche per questo il governo ha deciso nuove restrizioni per provare a limitare i contagi, in attesa di accelerare la campagna vaccinale.

A Bogotá, la capitale della Colombia, la sindaca Claudia López un mese e mezzo fa aveva invitato la popolazione a prepararsi al peggio, confidando che si potesse superare rapidamente il picco dei contagi e tornare a una situazione più gestibile. I casi sono invece continuati ad aumentare e la città è in seria difficoltà. Nonostante ciò, López ha annunciato che a partire dall’8 giugno saranno sospese quasi tutte le restrizioni e gli studenti potranno tornare a scuola: «Sembra totalmente contraddittorio, da un punto di vista epidemiologico, annunciare le riaperture mentre si ha un tasso di occupazione delle terapie intensive del 97 per cento, ma dal punto di vista sociale, economico e politico […] è necessario farlo».

In Colombia, che ha 50 milioni di abitanti, ci sono stati in media 23mila nuovi casi giornalieri nell’ultima settimana e i decessi sono stati oltre 500 al giorno nello stesso periodo. Solo il 14 per cento della popolazione ha ricevuto almeno una dose di vaccino e il governo ha ricevuto forti critiche per la gestione della pandemia. Le difficoltà economiche hanno portato a grandi manifestazioni di piazza con una repressione sempre più violenta da parte delle autorità.

2021 vs 2020

Su scala globale, i nuovi casi giornalieri sono diminuiti rispetto agli 800mila dello scorso aprile, ma continuano comunque a essere almeno 500mila ogni giorno. Nei primi cinque mesi del 2021 sono stati inoltre rilevati più casi di COVID-19 rispetto a tutti quelli riscontrati nel 2020. I dati dai paesi in cui si sta vaccinando molto mostrano come i vaccini contribuiscano a ridurre i ricoveri e, di conseguenza, i decessi da casi gravi della malattia. Una maggiore disponibilità di vaccini potrebbe migliorare sensibilmente le cose in molti paesi ancora privi delle dosi promesse o prenotate.

Asia

Il Vietnam è uno di questi, con appena l’1 per cento della propria popolazione vaccinata con almeno una dose. Il paese aveva limitato con grande efficacia le ondate del 2020, grazie a sistemi di tracciamento e quarantena bene organizzati, ma ora sta affrontando seri problemi con circa 4mila nuovi casi segnalati nel mese scorso, una quantità più alta rispetto al numero complessivo di casi rilevati nei 16 mesi precedenti. Il governo aveva prenotato vaccini da diversi fornitori, ma finora ha faticato a ottenere le dosi richieste con sensibili ritardi nella campagna vaccinale.

La situazione continua a essere molto difficile anche in India, dove nei mesi scorsi una violenta nuova ondata ha causato migliaia di morti e centinaia di migliaia di nuovi casi positivi rilevati ogni giorno. La rilevazione dei contagi non è gestita al meglio, soprattutto in alcuni stati, ed è quindi certo che i casi reali siano molti di più di quelli dichiarati. Il paese ha avviato in ritardo il proprio programma di vaccinazioni rispetto a quanto avvenuto in Occidente, e si stima che appena il 10 per cento della popolazione (1,4 miliardi di persone) abbia ricevuto almeno una dose del vaccino.

Per potenziare la campagna vaccinale, nelle ultime settimane il governo indiano ha disposto che le dosi di vaccino prodotte dal Serum Institute of India, il più grande produttore al mondo di vaccini, siano impiegate internamente e non esportate in altri paesi. Questa scelta ha inciso pesantemente su COVAX, l’ambizioso progetto che avrebbe dovuto garantire un’equa distribuzione dei vaccini, ma che per ora ha mancato buona parte dei propri obiettivi.

COVAX

L’idea di COVAX (COVID-19 Vaccines and Global Access) era nata all’inizio del 2020, quando la presenza del coronavirus iniziava a essere rilevata in diversi altri paesi oltre alla Cina, mostrando di avere il potenziale per causare una pandemia. I responsabili di GAVI – organizzazione senza scopo di lucro per la diffusione dei vaccini nei paesi più poveri – e quelli di CEPI – coalizione per il finanziamento di soluzioni per contrastare le epidemie – pensarono che la costituzione di una nuova entità per gestire prenotazioni e distribuzione dei vaccini avrebbe consentito di ridurre le diseguaglianze e rendere più razionale l’impiego di una risorsa così importante.

L’obiettivo era realizzare qualcosa di simile a GAVI, nata proprio con lo scopo di incentivare le aziende farmaceutiche a fornire i loro vaccini ai paesi più poveri a prezzi convenienti. Negli ultimi 20 anni l’organizzazione si è occupata di raccogliere richieste e offerte dai governi, occupandosi di contrattare poi con le aziende farmaceutiche le forniture. Questa sorta di sistema centralizzato di acquisti ha permesso ai produttori di avere contratti di lunga durata e di conseguenza di ridurre i prezzi, con benefici per i governi dei paesi poveri e in via di sviluppo. GAVI ha permesso in questi anni di vaccinare oltre 800 milioni di bambini contro la meningite, il morbillo la poliomielite e diverse altre malattie, prevenendo milioni di morti.

Buona parte del successo di GAVI è derivata dal coinvolgimento della fondazione di Melinda e Bill Gates, che si è occupata di una parte importante nella gestione dell’intera organizzazione. Per questo i Gates all’inizio dello scorso anno furono coinvolti da GAVI e CEPI nella costituzione di COVAX, progetto al quale avrebbero aderito l’Unione Europea, diversi altri paesi e l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS).

In un anno circa di esistenza, COVAX ha raccolto oltre 10 miliardi di dollari e ha l’ambizioso obiettivo di consegnare almeno 1,8 miliardi di dosi a un centinaio di paesi poveri entro i primi mesi del 2022. Il piano ha però avuto non pochi problemi, soprattutto a causa delle politiche seguite dai paesi più ricchi, che hanno più che altro pensato a raccogliere quante più dosi possibili per i loro cittadini, lasciandone poche al resto del mondo.

Ritardi e poche dosi

Su quasi 2 miliardi di dosi somministrate in tutto il mondo, COVAX ha per ora distribuito appena 78 milioni di dosi. Il blocco alle esportazioni dei vaccini prodotti in India ha rallentato ulteriormente le attività dell’iniziativa: siamo ormai a metà anno e COVAX ha consegnato circa 200 milioni di dosi in meno rispetto a quanto inizialmente programmato.

Un miglioramento della situazione è auspicato nei prossimi mesi, in parte grazie a una revisione delle politiche di condivisione dei vaccini da parte degli Stati Uniti, che finora avevano donato e distribuito all’estero poche dosi e talvolta sotto forma di prestiti. Giovedì 3 giugno il presidente degli Stati Uniti. Joe Biden, ha annunciato la distribuzione di 25 milioni di dosi: 19 milioni tramite COVAX e altri 6 milioni attraverso un programma che coinvolgerà direttamente gli Stati Uniti, diretto verso vari paesi tra i quali il Messico e la Corea del Sud. La scelta è stata spiegata con la necessità di superare «alcune priorità territoriali», quindi dalla volontà di condividere i vaccini per motivi diplomatici con alcuni specifici paesi, evitando la distribuzione programmata da COVAX.

In Europa l’iniziativa più importante di condivisione delle dosi si chiama Team Europe, con l’impegno di donare entro la fine dell’anno almeno 100 milioni di dosi ai paesi più poveri. La distribuzione avverrà per lo più tramite COVAX, che intanto ha ottenuto altri 54 milioni di dosi da donazioni di altri paesi. Gli incrementi delle ultime settimane sono importanti, ma nel complesso la disponibilità di dosi per buona parte del mondo continuerà a essere ridotta almeno fino alla fine dell’anno.

COVAX avrebbe dovuto consentire ai paesi poveri e in via di sviluppo di ricevere i vaccini in contemporanea con i paesi più ricchi, con una distribuzione proporzionale alla popolazione più somministrazioni prioritarie per il personale sanitario e i vulnerabili. Raggiunto il 20 per cento di popolazione vaccinata in ogni paese, il piano sarebbe poi cambiato per dare priorità ai paesi a più alto rischio. Le cose sono però andate diversamente: i paesi più ricchi hanno stretto direttamente accordi con i produttori, con prenotazioni a prezzi più alti e vantaggiosi per le case farmaceutiche, riducendo sensibilmente le disponibilità per tutti gli altri.

Stati Uniti e molti paesi dell’Unione Europea erano stati del resto i paesi più interessati dalle prime ondate della pandemia nel 2020, e in molti avevano già previsto che difficilmente i loro governi avrebbero rispettato il piano COVAX: c’era la necessità di vaccinare il prima possibile i propri cittadini, senza contare che buona parte dei vaccini erano prodotti da aziende con sedi e stabilimenti in quegli stessi paesi. Per scelta dell’allora presidente Donald Trump, inoltre, gli Stati Uniti non erano entrati in COVAX, scegliendo di finanziare diversamente anche la ricerca dei vaccini contro il coronavirus.

COVAX ha avuto comunque problemi anche a causa delle scelte delle aziende farmaceutiche. Molte di loro decisero di non rendere prioritari i contratti con l’iniziativa. Pfizer, per esempio, aveva concordato la vendita diretta di appena 40 milioni di dosi a COVAX, meno del 2 per cento della sua intera produzione prevista per quest’anno: le poche dosi non saranno inoltre consegnate prima dell’estate. Moderna ha stretto un accordo per la fornitura di 500 milioni di dosi, ma le prime consegne sono previste per l’autunno e la maggior parte delle dosi non sarà consegnata prima del 2022.

Il rallentamento più significativo sarà causato probabilmente dalle limitazioni imposte dall’India. I responsabili di COVAX si sono rivolti alla Cina per provare ad arginare il problema, ma sono stati sollevati dubbi sull’efficacia dei vaccini cinesi. L’OMS di recente ha dato il proprio parere positivo a quelli prodotti dalle aziende di biotecnologie cinesi Sinopharm e Sinovac, passaggio necessario per rendere possibile il loro impiego nell’ambito di COVAX. La Cina negli ultimi mesi ha comunque esportato decine di milioni di dosi dei propri vaccini, nell’ambito della cosiddetta “diplomazia dei vaccini” per rafforzare i propri rapporti con alcuni paesi e mantenere le proprie aree di influenza.

Miglioramenti e prevenzione

Nonostante le difficoltà, la catena produttiva dei vaccini sta migliorando a livello globale grazie alla costruzione di nuovi stabilimenti e alla collaborazione tra alcune aziende farmaceutiche. Man mano che diventano operativi nuovi impianti e si attivano collaborazioni il problema della scarsità delle materie prime si riduce. Osservatori e analisti ritengono che entro il prossimo anno la scarsità di vaccini dovrebbe essere superata, ma rimarranno comunque le difficoltà legate alla logistica e alla distribuzione delle dosi.

L’auspicio dei responsabili di COVAX e dell’OMS è che nei prossimi mesi si assista a un cambiamento di approccio da parte dei paesi più ricchi, in parte già in corso come dimostrano le ultime decisioni del governo statunitense e gli impegni di condivisione da parte dell’Unione Europea. La pandemia non sarà del resto superata fino a quando una quota consistente della popolazione mondiale non sarà vaccinata (o immunizzata naturalmente, ma con un alto costo in termini di vite e crisi sanitarie), riducendo i rischi della diffusione di nuove varianti e ulteriori ondate.

Per tornare a una situazione di normalità saranno necessari ancora anni e l’attuale pandemia ha mostrato chiaramente quanto il mondo fosse impreparato per una simile emergenza. Anche per questo COVAX propone di sviluppare progetti di ricerca e analisi dei rischi annuali, in modo da rispondere più velocemente nel caso emergano nuovi virus che potrebbero causare una nuova pandemia. È una visione condivisa dall’OMS, che di recente ha proposto la formazione di un fondo da 10 miliardi di dollari all’anno, da impiegare per attività di valutazione dei rischi e prevenzione delle future pandemie.

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