mercoledì 16 giugno 2021

Cattelan, da Sky a Rai1: “Ho superato i 40 ma voglio essere ancora la grappa nel caffè”

 

 

da: la Repubblica – di Luigi Bolognini

A settembre su Rai 1 lo show “Da grande” e una docuserie Netflix sul senso della felicità. Intanto il suo nome è in pole position per Eurovision 2022

Per capire fino in fondo Alessandro Cattelan forse bisogna pensare al fatto che a 15 anni fu campione italiano di ju jitsu, pratica da combattimento che si può tradurre come “arte della flessibilità”. Un po’ come lui, che dove lo metti sta, può condurre sciolto e senza farsi turbare dagli imprevisti un talent, un talk show, o inventarsi quel che vuole, come dovrà fare in Rai dopo 10 anni a Sky. «Non ci avevo mai pensato, sa? Il ju jitsu insegna a sfruttare quel che ti succede intorno, ritorcere contro l’avversario la sua forza, come una canna di bambù che non si rompe. Questo mi è rimasto nel lavoro».

Le servirà: a Sky faceva quel che voleva, ora si è infilato in Rai, che ha problemi di bilancio, governabilità e rapporti con la politica. E un pubblico diverso. Gli imprevisti non le mancheranno.

«Finora ho trovato altrettanta libertà che a Sky. I dirigenti Rai mi hanno cercato perché facessi quel che so fare senza snaturarmi, e proprio per portare in Rai un certo pubblico. E voglio anche mettermi un po’ alla prova, magari anche stare scomodo dopo anni in una comfort zone che mi ha fatto crescere senza traumi».

Crescere. C’entra anche l’età? Lei è entrato da poco negli “anta”, forse è l’ora del salto definitivo? E la trasmissione su Rai 1 a settembre si chiama “Da grande”.

«Ho letto cose clamorosamente non vere, tipo un programma sulla crisi dei 40 anni, generazionale... Macché.

Sarà uno show dove si canta, si balla, ci si traveste, ci si diverte, si parla, magari si solleva anche un pensiero. Vogliamo essere come il goccio di grappa nel caffè, che ti rende un po’ alticcio e ti porta a far qualcosa oltre il solito perché sei a tuo agio».

Perché solo due puntate?

«Le stiamo costruendo come eventi, poi chissà».

Sempre in autunno lei sarà bisvalido: su Netflix otto puntate della docuserie “Una semplice domanda” su una piccolezza come la ricerca della felicità.

«Tutto nasce da una domanda di mia figlia Nina: “Papà, cos’è la felicità?”. Beh non lo so, malgrado abbia le carte in regola per essere felice. E ho fatto passare la domanda attraverso il mio cervello bacato. Stiamo cercando storie per prendere in modo laterale la più grande questione della storia dell’umanità. Lavorare per due canali diversi? Sa, le esclusive sono come il posto fisso, la sicurezza economica. Chiuso con Sky ho avuto la gioia di ricevere solo offerte personali, cioè di portare idee in cui fossi me stesso».

Mica male per uno partito con zero ascolti.

«Parliamo di 20 anni fa, ero a All Music. Play it secondo l’Auditel non ebbe un telespettatore, ma neppure uno. Ma le giuro che in quella puntata mi ero divertito assai. Per fortuna mi diverto sempre».

E a Sanremo si divertirebbe? Domanda inattesa, vero?

«Ci rispondo appena da cinque anni. Farei pochissimi ascolti, perché porterei solo gente che piace a me: Salmo,  Fabri Fibra, I cani, Madame, ma anche Tozzi e Zucchero. Oppure vorrei farlo come ingranaggio di un meccanismo, avendo con me solo donne, come Antonella Clerici, Sara Gama, Chiara Ferragni. Ma chissà».

Più facile l’Eurovision Festival 2022: tutti i social la vogliono, dopo la vittoria dei Måneskin.

«Un onore, vuol dire che ho lavorato bene. Sui Måneskin il genio è stato mandarli a Sanremo, vista la tradizione  del Festival. Il resto non mi ha sorpreso: li vedi e hanno un passo in più, o due».

Inevitabile domandare di calcio a uno interista un po’ più di poco. Quanto si è spaventato per Eriksen?

«La notte non ho dormito. Spero stia bene, il calcio viene dopo».

E quanto si è arrabbiato per l’addio di Conte?

«Rassegnato, semmai. A noi interisti, anche se facciamo un capolavoro, non manca mai uno sfregio sulla tela. Credo in Inzaghi e comunque non abbiamo ancora venduto nessuno, quindi siamo forti come prima».

Lei prometteva più come giocatore: è stato difensore del Derthona, squadra della sua Tortona. Potendo scegliere, che carriera avrebbe preferito?

«Scherza? Il calcio! Ha meno pressioni e c’è meritocrazia: puoi far parte di lobby ed entourage, ma se non pedali e sei scarso non giochi».

Perché? In tv come va?

«Diversamente direi, anche se non sono mai stato danneggiato da simili meccanismi. Certo a quest’ora, fossi stato calciatore, avrei già dovuto reinventarmi una vita. In tv c’è ancora chi mi considera giovane».

Beh, i modi li ha, e ha sempre l’aspetto fisico un po’ cuccioloso.

«Ma comincio anche ad avere i capelli bianchi, per fortuna il biondo maschera bene».

A proposito, ha ancora il cartello di senso unico che da adolescente rubò a Pavia?

«Con un padre carabiniere è durato poco. Ma ho la targhetta della porta della classe di liceo, la Quinta C, che scardinai l’ultimo giorno di scuola. Rischiai di non fare la maturità, poi mi diedero 62/100. Ma ora ho pure la maturità anagrafica. Poi chi ancora vuol definirmi giovane non mi offende».

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