lunedì 17 giugno 2019

Reddito di cittadinanza, le norme «anti-divano» che non ci sono per controlli e lavori utili



Qualche giorno fa, a Palermo, dieci persone che prendono il reddito di cittadinanza si sono rimboccate le maniche e hanno dato una bella pulita alla piazza davanti all’Oratorio dei Bianchi, nel quartiere della Kalsa. Ricordate i famosi lavori di pubblica utilità, il «volontariato obbligatorio» che dovrebbe fare chi incassa il reddito per ricambiare in qualche modo il sostegno ricevuto? Ecco, non c’entrano nulla. I dieci palermitani che si sono armati di secchi e ramazze si sono mossi senza alcun obbligo, da soli. Volontari punto e basta.

I lavori di pubblica utilità, portati da 8 a 16 ore alla settimana su pressione della Lega, sono una delle cosiddette norme “antidivano”, cioè una delle risposte studiate dal governo per chi attacca la misura bandiera del Movimento 5 Stelle e la considera un sussidio dato per non fare nulla. Ma c’è un ma. Forse prevedibile, comunque rilevante. La norma attuativa con la quale il governo dovrebbe fissare le linee guida che i Comuni dovranno seguire per organizzare tutte queste attività ancora non c’è. Il decretone — la legge che ha istituito il reddito di cittadinanza — dà tempo fino a settembre. Ma l’estate ormai è arrivata, la velocità della politica si prepara a scendere, il governo sembra avere altre priorità, dal negoziato sui conti pubblici con l’Unione europea in giù. E i Comuni sono costretti ad aspettare, senza nemmeno sapere da che parte cominciare.

Qualche città ha provato a fare qualche passo in autonomia, un po’ come i dieci cittadini di Palermo che si sono messi a pulire la loro piazza. È il caso di Torino, Comune
amministrato proprio dai 5 Stelle, che ha cominciato a sondare il terreno in attesa delle istruzioni che devono arrivare da Roma. Ma in realtà, per il momento, i sindaci possono fare ben poco. Anche perché ci sono altri ingranaggi che mancano nella complicata macchina del reddito di cittadinanza. Ci sono altre norme «antidivano» che ancora mancano all’appello.

Non c’è ancora il decreto sui controlli anagrafici, sempre a carico dei Comuni, che pure dovrebbe essere in dirittura d’arrivo. È un provvedimento importantissimo per evitare truffe e raggiri. Per dire, nessuno finora ha potuto verificare se chi ha chiesto il sussidio è residente in Italia da almeno dieci anni, di cui gli ultimi due in modo continuativo, come previsto dalla legge. Ci si è dovuti accontentare delle autocertificazioni. E manca anche il decreto che consente di scambiare i dati tra le diverse piattaforme per capire chi, tra chi ha presentato domanda, deve essere preso in carico dai centri per l’impiego per essere aiutato a trovare un nuovo lavoro e chi invece deve seguire il percorso dei servizi sociali comunali perché ha bisogno di un aiuto diverso.

Finora, in sostanza, il reddito di cittadinanza si è limitato a distribuire soldi senza chiedere (quasi) nulla in cambio. In compenso alla gioiosa macchina da guerra messa in piedi per gestire il sussidio si aggiungono nuovi pezzi. Sono previste mille assunzioni per l’Inps, dedicate proprio al reddito di cittadinanza, come stabilito dall’ultima versione del decreto legge «Crescita» ancora all’esame del Parlamento. E tra quale giorno parte la selezione pubblica per i navigator, le 3 mila persone che andranno a rafforzare i centri per l’impiego chiamati a trovare un lavoro vero a chi prendere il reddito di cittadinanza. In realtà cosa dovranno fare in concreto i navigator ancora non si sa, il braccio di ferro fra governo e Regioni va avanti da tempo. E mentre loro stanno per essere assunti non vengono rinnovati i contratti ai precari che in quegli stessi uffici lavoravano da anni. Ma l’importante è far girare la ruota, almeno così sembra. Con il risultato che per il momento il reddito di cittadinanza distribuisce sussidi e stipendi. Ma per i controlli bisogna aspettare. Mentre il lavoro (normale e di pubblica utilità) ancora non c’è.

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